“La politica della speranza abbia la meglio su quella della paura”, dice il primo vicepresidente dell’Ue Frans Timmermans, e il suo invito — complice forse l’aria fresca del mattino, lì a Cernobbio — arriva forte e chiaro alla platea e ai “discussant” del dibattito “L’Europa che vogliamo”, un’apertura di lusso per la seconda giornata del Forum Ambrosetti di Villa d’Este. Paura, speranza: a Cernobbio i grandi d’Europa riparlano di valori, e non sono quelli dei tassi d’interesse. Sarà che si sentono forti, con l’euro svettante sul dollaro; sarà che la marea dei populismi sembra essersi esaurita.
Riparlano di valori, ed era molto che non accadeva. E Timmermans preannuncia che “il prossimo 13 settembre, nel pronunciare l’annuale discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente Juncker rifletterà i risultati di questo dibattito e darà la sua opinione sul futuro dell’Europa. Su queste basi, alla fine dell’anno, il Consiglio europeo potrà trarre le prime conclusioni e decidere gli interventi necessari in tempo per le elezioni del Parlamento europeo del giugno 2019 e la Commissione che verrà”.
“Alla fine di questo processo avremo certamente un’Europa diversa”, dice ancora il numero due di una Commissione europea che ha avuto finora un percorso molto travagliato. “Sarà un’Europa di nuovo orgogliosa delle sue conquiste e capace di forgiare il proprio destino, dove i cittadini si sentano protetti e credano nel futuro, dove l’unità rimarrà una necessità ma sarà di nuova vissuta come una libera scelta da tutti i suoi cittadini, ovunque risiedano. La libera scelta di appartenere a una comunità dove la pace, la tolleranza, la solidarietà e il rispetto dell’individuo, qualunque siano la sua provenienza, genere e orientamento politico e religioso, vengano prima di tutto”.
E’ l’unico momento in cui Timmermans pronuncia la parola “religioso” — anche se, più che altri, per tenerla fuori dal dibattito — né diversamente faranno Jean-Claude Trichet, ex presidente della Bce, Mario Monti, Geert Wilders (leader populista olandese) e Gunther Oettinger, commissario europeo per il bilancio e le risorse umane, esponente autorevole dei cristiani-democratici tedeschi. Inquieta forse il monito perenne del Papa a non considerare il capitalismo liberista l’unico modello da seguire, senza correttivi e senza autocritiche, ma fa comunque effetto che si parli di pace, di solidarietà, di rispetto dell’individuo, e non soltanto di saldi di bilancio, di percentuali sul Pil, di sforamento dei parametri di Maastricht.
E’ come se immeritatamente quest’Europa che, in fondo, comunque sta lasciando il posto a leader e classi politiche nuove — se non altro per ragioni anagrafiche, Renzi e Macron docent — lucrasse sul flop del modello trumpiano e delle controproposte dei vari populismi europei, da quello britannico di Nigel Farage — eclissatosi dopo una Brexit che se non ha determinato sfracelli non ha neanche innescato miracoli — alla Le Pen, sconfitta in Francia, agli stessi 5 Stelle che pur essendo venuti qui a Cernobbio per la prima volta a parlare del loro programma di governo, sono oggettivamente zavorrati dall’esito ridicolo se non della brevissima esperienza del governo di Roma, senz’altro dalle modalità e dai metodi bislacchi con i quali è stata finora condotta.
Si riparla di valori comuni europei, ben venga. Non guasterebbe se, serenamente, difronte a quell’altro populismo che purtroppo non declina ed è ben più pericoloso — il fondamentalismo islamico — l’Europa osasse ricordare le sue radici cristiane.