Si parte dall’economia si arriva alla cultura, al modo in cui l’uomo concepisce se stesso e l’ordine morale. Solo in questo modo possiamo capire gli errori della finanza derivata alla pari delle ultime follie in tema di procreazione assistita. “È un problema di educazione, di formazione della personalità”, dice a ilsussidiario.net Ettore Gotti Tedeschi, economista che non ha mai smesso di pensare filosoficamente.
Perché secondo lei il problema educativo è prioritario rispetto a quello economico?
L’economia è uno strumento di per sè neutro, è come la si usa che la rende buona o no per l’uomo. Il chi la usa è ciò che conta. Ma il chi la usa lo farà in funzione dell’educazione che ha, della cultura che ha, dei valori in cui crede. Solo l’educazione perciò ci salverà, che sia individuale, familiare, scolastica. La priorità del paese non è economica, è educativa. Il ministero più importante non è quello economico, bensì quello educativo. È l’uomo che va formato ad usare gli strumenti , lo spiegano i Papi in più encicliche (Sollecitudo rei socialis, Caritas in veritate e Lumen fidei, tenendo conto di Veritatis splendor).
Che cos’è per lei educazione?
L’educazione è cultura applicata, è un prodotto dell’intelligenza umana, ispirata dal Creatore. Essa si acquisisce, si sperimenta, si tramanda. È importante perché una comune cultura dei valori crea un pensiero comune ed unità di intenti che creano consenso e rendono fattibili progetti sociali, politici, economici. La stessa civiltà è fatta dalla cultura-educazione nell’uso degli strumenti della civiltà. Che questo uso si fondi o no su valori comuni riconosciuti, non è poco. Si pensi alle leggi sui diritti umani, sulla bioetica…
Vale anche per l’Europa?
Certo. Un’Europa, per esser effettiva, dovrebbe avere questa comune cultura, invece di avere solo una moneta in comune.
Prima ha citato le encicliche, poi ha accennato a un nesso tra la formazione dell’intelligenza e Dio. In che senso?
Il cristianesimo cambiò radicalmente la cultura portandola ad essere da fine a mezzo. Mezzo per scegliere quale senso dare alla vita ed alle azioni. È evidentemente l’aspetto morale insito nell’educazione.
Come si è evoluto storicamente il nesso tra cultura e educazione?
Dopo i tempi di cultura clericale fondata sulle scritture sacre, l’umanesimo medioevale, riscoprendo i classici greci (Aristotele), rivaluta l’apertura della ragione umana alla fede. San Tommaso cercò di creare un aristotelismo cristiano, ma gli scismi nella Chiesa lo impedirono. Furono gli umanisti gli ideatori della riforma protestante (Erasmo da Rotterdam), anche se poi, riconosciuti i difetti fondamentalisti che questa aveva, ne divennero oppositori (diciamo che la Riforma gli era sfuggita di mano). Mentre i luterani furono anti-umanisti, i calvisnisti furono a favore, alimentandosi di Bibbia e classici greci.
Vada avanti, professore.
Le scienze, quando si svilupparono nel rinascimento, furono naturaliste e panteiste (Leonardo da Vinci). Bacone sostituì la fede con l’utilitarismo scientifico e la matematica sostituì la logica scolastica. Già allora si cominciò a affermare che l’uomo poteva dominare la natura, se non ci fosse stata di mezzo la religione; e si cominciò a ignorare e dileggiare la metafisica. Questo, tra parentesi, spiega la fine dei gesuiti-educatori (nel 1775). Napoleone invece, conscio dell’importanza della religione nell’educazione, la volle, ma come religione di stato, senza la Chiesa di mezzo. L’illuminismo post napoleonico continuò a contrastare la cultura cattolica, anche se la cultura popolare fu lasciata alla Chiesa (Voltaire disse che non era loro compito istruire cameriere e ciabattini). Ciò fino agli anni 1870 quando, in Europa, si promulgarono le leggi sull’istruzione obbligatoria, controllata dallo stato.
E siamo ai giorni nostri.
Il proceso di globalizzazione impose progressivamente criteri di universalità ed uniformità che pretendevano una istruzione universale. Da qui lo scontro con la Chiesa, unica vera istituzione universale il cui modello di insegnamento si fonda però sulla verità. Ma il nuovo ideale educativo accettato universalmente si fonda sulla libertà. Educare a qualcosa che prescinde dalla la verità genera assolutismo ed autoritarismo con conseguenze antisociali. Così la Chiesa non può più insegnare le verità ed è costretta a relativizzarla o limitarla ai luoghi concessi.
Quali sono le conseguenze di questo ridimensionamento?
L’insegnamento della cultura umanista fusa con la religione cristiana ha prodotto la civiltà occidentale che rese compatibile la santificazione personale con la vita quotidiana nel mondo. Questo insegnamento si fondava su un principio educativo fondamentale: apprendere il “sapere perché”. Ciò rese possibile accettare il creazionismo ed il senso stesso della vita e delle azioni. Progressivamente questo modello educativo si trasformò in: apprendere il “sapere come”, il come fare le cose. Ciò ha provocato una forma di anarchia intellettuale, proprio in un momento storico dove l’esigenza di sapere sta crescendo esponenzialmente in un mondo globale in continuo mutamento e novità, che vuole conoscenze diverse e sempre più avanzate. La conseguenza, in sintesi, è stata dare autonomia morale agli strumenti e privare l’uomo della capacità di decidere dando senso alla decisione stessa.
Quali riflessioni si sente di fare su queste conseguenze?
L’istruzione e la cultura cattolica è stata messa da parte non tanto perché obsoleta nei modelli, oppure perche dogmatica e inapplicabile, bensì perché è l’unica che può cambiare il mondo. Cancellare la cultura cattolica produrrà la perdita dei valori comportamentali essenziali per la società, dall’economia alle scienze, alla politica. La cultura cattolica non coincide con la fede cattolica, ma la fede penetra la civiltà grazie alla cultura. E la cultura è viva, vera e competitiva, se è vissuta, se c’è fede.
Certo la cultura cattolica è orientata al senso e al fine della vita, quando invece la cultura laica è orientata alla soddisfazione materiale, egocentrica ed egoistica. Cambiare la visione laica produrrebbe effetti nell’ambito del sociale (famiglia, lavoro, stato, città, consumi…) oltre che nell’individuale. La cultura cristiana propone una visione del mondo opposta a quella agnostica, soprattutto da un punto di vista antropologico. Ma cancellarla sarà il più grande errore compiuto da quel mondo che sogna un uomo autonomo in tutto. Imporre una cultura unica (e anticreazionista) sarà un errore anche perché imporrà limiti di pensiero, privando l’uomo della facoltà di scegliere la sua visione del mondo.
Cosa pensare e cosa fare di fronte a questo stato di cose?
La cultura dominante moderna è solo un prodotto offerto all’uomo conforme, immaturo, ignorante, deresposabilizzato e tecnologico. E la cultura cattolica non sembra saper offrire prodotti tanto desiderabili a quest’uomo. Ora la speranza di riaffermare con facilità l’educazione cattolica mi pare illusorio: la secolarizzazione della società, sintesi tra ragione e scienza, ha convinto l’uomo a pensare di poter e saper creare un ordine morale suo che persino perfeziona la Creazione. La libertà, che ha totale autonomia morale, ormai viene prima della verità. Sembra molto difficile saper ricreare una alleanza tra religione-cultura e civiltà. Cercare di spiegare i vantaggi dello spirito è possibile, ma vuole sforzi ed investimenti educativi prima, in contrasto con i “fiscal compact” impostici. Ho l’impressione che, paradossalmente, la cultura stia tornando a diventare un privilegio di pochi, come nell’antichità… Ma se così fosse i problemi economici del paese, dell’Europa e del mondo non li risolveremo mai. Così l’economia è destinata a mantenere l’autonomia morale che ha assunto progressivamente e a non avere un senso per l’uomo. I richiami dell’autorità morale conseguentemente dovrebbero esser riferiti più sull’educazione dell’uomo che su proposte di economia. Come Benedetto XVI aveva perfettamente inteso e proposto in Caritas in Veritate.