Provaci ancora Donald. L’offensiva sugli “abusi commerciali” che sarebbero all’origine del deficit Usa parte in un momento di grosse difficoltà per il Presidente. Il capitolo potenzialmente più pericoloso riguarda i rapporti con Mosca. Le indagini dell’Fbi stanno raccogliendo prove sempre più inquietanti sui rapporti dello staff di Trump con gli emissari del Cremlino. Per giunta è arrivata la bomba: Michael Flynn, l’ex consigliere della sicurezza nazionale sacrificato da Trump dopo la conferma dei suoi incontri con emissari di Vladimir Putin, si è offerto di testimoniare davanti al Congresso, purché gli venga assicurata l’immunità. Ma a parte quest’emergenza, il bilancio dei primi 120 giorni alla Casa Bianca è davvero magro. Dalla mancata riforma sanitaria ai tentativi di imporre il blocco all’immigrazione o la prevista deportazione dei clandestini, l’agenda di Trump per ora è piena di flop più che di risultati.
L’inedita alleanza tra la destra repubblicana, decisiva nel bloccare la riforma sanitaria, e la durissima opposizione dei democratici ha rallentato l’innesto degli uomini del presidente nell’amministrazione o alla Corte Suprema. Non si è visto ancora un dollaro per il muro che dovrebbe separare gli Stati Uniti dal Messico, mentre il cambio del peso è tornato ai valori che hanno preceduto le elezioni. La stessa “rivoluzione fiscale” promette di essere più desiderio e un obiettivo ideale che non quel cambiamento epocale che le Borse giudicavano imminente. Quasi all’improvviso i mercati si sono ricordati che Ronald Reagan ci mise cinque anni per far approvare la riforma fiscale. Quanto ci metterà Trump a varare le sue riforme? Per ora si assiste a una ritirata. Dal 15% di aliquota proposto per le imprese in campagna elettorale si è passati a discutere del 20%, poi del 25% e adesso del 28%, dal momento che il border adjustment, la tassa sulle importazioni che aveva fatto gridare al ritorno degli anni Trenta e che doveva finanziare l’abbattimento delle aliquote, si sta rivelando molto complessa e gravida di conflitti a ogni latitudine.
È con queste premesse che sta per prendere il via l’offensiva commerciale anticipata dalla guerra della Vespa e che culminerà nel confronto, la prossima settimana, nel primo meeting bilaterale tra il presidente Usa e Xi Jinpig, il numero uno del Drago. Un incontro, ha anticipato Trump, che “sarà molto duro”. Ma con quali obiettivi? Trump ha senz’altro bisogno di un successo politico per scacciare le ombre che lo circondano. È facile prevedere che il meeting di Mar-a-Lago offrirà l’occasione per numerosi tweet destinati a rinfrescare l’immagine del Presidente. E magari a qualche gesto plateale. Xi Jingping, dal canto suo, non accetterà di sicuro di esser messo sotto processo da Trump e non cederà di un millimetro sui problemi di sovranità sul mar della Cina.
Ma l’imperatore rosso ha già fatto sapere che per Pechino “il surplus commerciale con gli Usa non deve essere causa di conflitto”. Il viceministro del commercio Zheng Zeguang, del resto, ha fatto notare che “la Cina accusa un notevole deficit sul fronte dei servizi e della tecnologia. Se Washington ridurrà i controlli sulle esportazioni hi-tech e sarà più disponibile a facilitare gli investimenti cinesi in Usa, si potrà trovare un accordo su tutto il resto”. Intanto la diplomazia di Pechino sta tessendo una rete di alleanze dalla Germania al Messico per limitare la portata di eventuali sanzioni americane.
Si entra così in una fase nuova e pericolosa in cui si intrecciano crisi politiche e militari (prima fra tutte la minaccia in arrivo dalla Corea del Nord) e l’incubo del protezionismo. Ma forse non è il caso di disperare. Il paradosso è che le tensioni tra i Big crescono proprio mentre la situazione economica migliora per entrambi. E il commercio internazionale, sotto pressione negli anni della crisi più acuta, registra un significativo miglioramento. Intanto Tencent, azienda di punta cinese, ha acquistato una significativa partecipazione in Tesla, la società più impegnata nell’auto a guida autonoma.
Insomma, il mondo vive una fase di sdoppiamento della realtà. Da una parte si moltiplicano i segnali, per ora virtuali, di conflitto, Dall’altra, dopo la reazione nevrotica seguita alle elezioni americane, affiorano comportamenti più composti ed equilibrati. C’è da chiedersi quale tendenza potrà imporsi nel tempo. Ovvero se Trump, da buon uomo d’affari, saprà maneggiare la sua retorica invadente, ma efficace, oppure se, travolto dalla difficoltà di governare, finirà col cercare avventure pericolose. Speriamo che sia buona la prima e che ci si militi alla guerra della Vespa, non a quella del Drago.