Dopo il contratto, tocca al premier: Salvini avrebbe dato il via libera a un premier scelto dai 5 Stelle, purché non sia Di Maio. E il nome potrebbe essere quello del giurista Giuseppe Conte, presentato da Di Maio al Quirinale già lunedì scorso (se non prima) quando ormai Sapelli era stato escluso, e tenuto prudentemente lontano dal tourbillon di questi ultimi giorni. Salvo colpi di scena dell’ultimo minuto, la settimana prossima dovrebbe dunque nascere il governo giallo-verde. “Un governo di rottura” — spiega il giornalista americano Andrew Spannaus, fondatore e direttore di transatlantico.info — destinato a una sorta di effetto-Trump: alta capacità di interpretare il voto e rappresentare le sfide, non altrettanta nel realizzare gli obiettivi.
Per quale motivo?
Alle difficoltà di realizzare gli obiettivi previsti nel programma si aggiunge il fatto che le istituzioni, dal Quirinale alla burocrazia dello Stato, non sembrano aver accettato quanto chiesto dalla maggioranza degli italiani nelle urne, un cambio di passo in primo luogo verso la Ue e la sua politica economica improntata all’austerity.
Il contratto M5s-Lega segna la giusta discontinuità?
Il contratto indica vari punti di rottura con la mentalità rigorista di Berlino e Bruxelles. Si parla di strumenti pubblici per investimenti, di spese sociali necessarie a prescindere dai vincoli europei. Tutte scelte che non vengono viste bene dalla burocrazia sovranazionale e da chi in Italia è ancora sposato a quella visione.
Di Maio e Salvini riusciranno a sfidare con successo le clausole europee?
E’ una battaglia molto difficile. Il presidente della Repubblica ha già messo alcuni veti a nomi e temi proposti, dunque la prima linea di difesa è in campo. Poi alcuni burocrati importanti (Dombrovskis, Avramopoulos e Katainen il 15 maggio scorso, ndr) hanno appena chiamato l’Italia all’ordine. E’ solo l’inizio.
I grandi giornali saranno contro.
Sì, faranno le loro pressioni, ma dovranno raccontare per forza anche lo scontro e la realtà politica del paese, la maggioranza del quale non sta con loro.
I rapporti tra l’amministrazione Usa e l’Unione Europea sono ai minimi storici. Questo aiuterà il nuovo governo? O indurrà Bruxelles a serrare le fila contro gli Stati e i governi ritenuti più destabilizzanti?
Le due cose non si escludono. Il cambiamento di governo negli Stati Uniti apre una possibilità per tutta l’Europa. La Ue, invece di attaccare i cosiddetti populismi in modo semplicistico e impaurito, dovrebbe rendersi conto della necessità di un cambiamento serio della politica economica e non solo. La domanda è: lo farà?
Lei cosa risponde?
Se non lo fa, la sua scelta aprirà effettivamente più opportunità per un paese come l’Italia, perché l’amministrazione americana oggi privilegia i rapporti bilaterali. Ci sono però tanti fattori in gioco. Nemmeno Donald Trump riesce a fare tutto quello che vorrebbe. A Washington, come sanno tutti, ci sono molte resistenze.
Un’incognita riguarda M5s. L’orientamento politico della Lega è chiaro e definito, quello dei 5 Stelle molto meno: su euro ed Europa hanno avuto posizioni altalenanti. Secondo lei come stanno le cose?
E’ un punto interrogativo. Mi auguro che sia pragmatismo, temo però che prevalga l’opportunismo. M5s nasce antipolitico ma ha al suo interno una componente globalista che non collima con il sovranismo della Lega, anche se si tratta di sovranismo spurio, maturato nell’opposizione allo Stato centrale.
Con quali rischi?
Il rischio evidente è che il governo M5s-Lega, per le pressioni istituzionali e per la natura amorfa della componente grillina, possa fallire gli obiettivi. Però è importante ricordare che non viviamo in un mondo perfetto.
Che cosa intende dire con questo?
Trump è stato eletto grazie a un diffuso senso di protesta maturato nella popolazione. Ha identificato bene i problemi, ma non è riuscito a definire soluzioni di sicuro successo.
Lo stesso accadrà in Italia?
E’ possibile. Gli oppositori rimproverano al governo “populista” prossimo venturo di non proporre le soluzioni che piacciono a loro, ma dimenticano che l’alternativa è stata sfiduciata dagli italiani il 4 marzo insieme ai partiti che avrebbero dovuto realizzarla.
A questo punto?
Non si tratta di fidarsi ciecamente di Lega ed M5s, quanto piuttosto di sfruttare l’apertura che il loro governo può offrire nell’interesse del paese e delle sue istituzioni.
M5s per molti aspetti rimane un’incognita. E’ possibile che sia almeno in parte il risultato di un esperimento politico simile a quelli fatti dagli Usa nell’Est Europa dopo la caduta del Muro, per governare un vuoto di potere e una situazione di crisi?
E’ verosimile che sia accaduto in senso passivo, non a livello attivo. E’ certamente possibile che alcuni abbiano intuito la possibilità e gli aspetti potenzialmente utili di un movimento di questo tipo, seguendo, accompagnando le sue potenzialità, e finanziandolo. Ma senza un piano scritto a tavolino.
Soggetti italiani o americani?
Direi internazionali. Ma sempre a livello passivo. In ogni caso M5s non avrebbe potuto funzionare senza la materia prima che è la rabbia della gente. Se qualcuno ha cercato di pilotare in modo più o meno efficace M5s, ha potuto farlo solo perché ha capito il momento politico del paese.
Quanto è importante oggi l’Italia per l’amministrazione americana?
Lo è per vari motivi: è integrata nel sistema Nato e ha un ruolo militare rilevante rispetto al Nordafrica e al Medio oriente. Diciamo che la Casa Bianca ha un’opinione diversa dai circoli che vedono in Germania e Francia i paesi che contano più degli altri.
Cosa dovrebbero fare Salvini e Di Maio?
Stare con l’occidente e con gli Usa, ma senza mancare di far sentire la loro voce sui temi importanti. Salvini può certamente voler togliere le sanzioni alla Russia senza esser visto come un nemico dell’occidente. Altrimenti, questo è il paradosso, lo sarebbe anche Trump.
Come definirebbe l’establishment atlantista italiano?
Un ceto di potere che si comporta tuttora come se nel 2016 avesse vinto Hillary Clinton. Non è tipico solo dell’Italia. Sono gli stessi che considerano la vittoria di Trump un incidente di percorso e che pensano che la vittoria dei partiti populisti non abbia nulla a che vedere con gli errori da loro compiuti. Eppure le elezioni italiane dovrebbero essere state un segnale molto forte.
(Federico Ferraù)