Dopo tre giorni di fuoco, i mercati sembrano aver concesso ieri una tregua. Le borse europee hanno chiuso in leggero rialzo e lo spread tra Btp e Bund è sceso intorno a quota 520 punti base, dopo aver toccato in mattinata un picco di 546. Non si può comunque dire che il peggio sia alle spalle, dato che con il passare delle ore aumentano le richieste per un intervento comune di tutti i paesi dell’Eurozona o della Banca centrale europea. Abbiamo chiesto a Mario Deaglio, Docente di Economia internazionale all’Università di Torino, di aiutarci a capire meglio il momento che stiamo attraversando.
Professore, negli ultimi giorni lo spread è tornato a crescere in maniera consistente, così come sono aumentati i timori sulla tenuta dell’euro. Cosa sta accadendo?
A determinare questa situazione è un concorso di cause. La più importante, che si tende a dimenticare, è che l’economia mondiale è in crisi perché la “cura” americana non funziona: immettere tanta liquidità e sperare che questo faccia ripartire l’economia non si sta rivelando una soluzione. L’economia americana sta a galla, ma non riparte, quella europea non sta nemmeno più a galla, ma è sotto il limite di guardia, quelle asiatiche, invece, rallentano.
Il vero problema ha quindi sede negli Stati Uniti?
Se guardiamo la situazione politica americana, c’è sempre un forte interesse dell’Amministrazione a non avere crisi prima delle elezioni di novembre. E qualora delle crisi vengano fuori, come nel momento attuale, si tende ad addossarne la colpa ad altri. Il grande allarmismo sull’euro, il forte flusso di condanne che piovono sull’Europa derivano in parte notevole, a mio avviso, da ragioni interne agli Usa.
Anche l’Europa ha però le sue colpe. Non trova?
Indubbiamente. Quella principale riguarda i tempi lenti di azione della politica, che si scontrano con quelli, quasi istantanei, dei mercati. Basta pensare, per esempio, al famoso “scudo” che ancora deve essere approvato. La procedura per la sua attivazione è troppo macchinosa: lo strumento è pronto, ma non ha “benzina” dentro. Per fortuna che Draghi ha rilasciato dichiarazioni di sostegno all’euro, perché nessun altro l’ha fatto. Anzi…
A che cosa si riferisce?
Nei giorni scorsi un documento del Fondo monetario internazionale ha parlato di dubbi sulla sopravvivenza dell’euro e ha dato consigli alla Bce su cosa fare. Ha diffuso, secondo me impropriamente, un allarmismo che ha aggravato la situazione. Un allarmismo che ha portato a vendere euro e a liberarsi dei titoli di stato ritenuti più pericolosi, in particolare quelli della Spagna e, di conseguenza, dell’Italia: non siamo infatti immuni dal “male” spagnolo, dati i rapporti bancari esistenti tra i due paesi.
Secondo lei, l’euro non rischia quindi seriamente di dissolversi?
Se l’euro si deprezza nei confronti del dollaro, questo non è un grave problema. Non escludo che uno Stato possa incontrare problemi nel rimborsare il proprio debito, innescando così una crisi bancaria. Nulla vieta, però, di sostenere e aiutare in quel caso le banche. Insomma, c’è una situazione grave, con una “malattia” che non passa, ma non vedo, come molti invece fanno, una “apocalisse” alle porte. Certo, se si crede di poter pensare a qualche provvedimento solo dopo l’estate, allora aspettiamoci caos, crolli e fiammate dello spread. Se invece qualcuno si dà subito da fare, allora si possono limitare i danni.
Si dovrebbe intervenire attivando lo “scudo” oppure bisogna lasciare campo libero alla Bce con operazioni straordinarie come una nuova asta Ltro?
La Bce è l’unica che ha capacità operativa, perché lo scudo al momento è ancora fermo. Se però lo si mettesse in moto, come minimo le dinamiche del mercato si allenterebbero. Una nuova Ltro avrebbe benefici inferiori rispetto allo scudo, anche perché non dobbiamo dimenticare che i prestiti vanno restituiti. E le banche europee già devono riconsegnare all’Eurotower i 1.000 miliardi delle due precedenti aste straordinarie.
Ma sullo scudo non pende la decisione della Corte Costituzionale tedesca sull’Esm attesa per settembre?
Credo che nel frattempo si possa trovare comunque uno strumento operativo, un modo per far sì che questo scudo non rimanga soltanto sulla carta.
Dunque è giusta la richiesta della Spagna di attivare urgentemente lo scudo.
La Spagna è in una situazione in cui sostanzialmente non ce la fa più, non ha possibilità di comprimere la domanda interna e i consumi più di quanto ha già fatto. Quindi va aiutata. Non si è comportata in malafede come ha fatto la Grecia, che ha truccato i conti.
Come mai ci sono paesi che hanno un debito/Pil superiore al 100%, come il Belgio, o che hanno già ricevuto aiuti dall’Europa, come l’Irlanda, ma che non hanno spread elevati come il nostro?
In generale, i mercati possono decidere tranquillamente di non trattare tutti i paesi allo stesso modo. Nel caso specifico, il Belgio vanta una dinamica del debito in calo da diversi anni, risultato di una ricetta che sembra aver funzionato. L’Irlanda, invece, dopo essersi pesantemente indebitata per salvare le banche, ha tagliato gli stipendi dei dipendenti pubblici, ha aumentato l’Iva, ha fatto insomma passare il suo bilancio in attivo e ha cominciato a ripagare i debiti. Per queste ragioni questi due paesi sono considerati credibili. Non va dimenticato poi il caso del Portogallo.
In che senso?
Non c’è speculazione sul Portogallo. Questo perché il suo debito è poco diffuso, non ha molti titoli derivati collegati, ed è in buona parte a lunga scadenza. Non ci sono quindi molti titoli su cui operare tutti i giorni sul mercato.
E come vede la situazione dell’Italia?
Se lo spread resta alto quando non c’è emissione del debito non si creano danni per le casse pubbliche. I problemi ci sono in caso di asta di titoli di Stato: vedremo se in quelle dei prossimi giorni il rendimento resterà un po’ più basso rispetto allo spread, come è sempre successo finora. È chiaro poi che l’Italia ha i suoi problemi. Però un mese fa lo spread era inferiore di 200 punti. Siccome negli ultimi due mesi ci siamo mossi e abbiamo migliorato (non peggiorato) le cose, è logico ritenere che la causa del rialzo dello spread venga dall’esterno.
Siamo di fronte a “ondate speculative basate sul nulla”, come ha scritto in un suo articolo?
Sì, perché non ci sono cause reali che ci riguardano che possano giustificare un simile andamento dello spread e la vendita massiccia di nostri titoli e azioni.
I nostri fondamentali, come si dice, sono quindi ancora solidi.
Sì, e in generale quelli dall’area euro sono migliori di quelli degli Usa per quel che riguarda bilancio, debito pubblico, inflazione e disoccupazione. È vero che il loro Pil aumenta un poco, ma cresce anche la popolazione, mentre quella europea è ferma. Questo vuol dire che il loro Pil pro-capite è sostanzialmente fermo. Poi stanno per scadere le agevolazioni fiscali introdotte da Bush e sono in arrivo i tagli automatici alla spesa pubblica.
Siamo di fronte a un “complotto” americano contro l’euro?
Trovare un cattivo in campagna elettorale è la massima fortuna che si possa avere. Nella finanza il termine “complotto” non ha molto significato; il “complotto” si crea da solo: quando si stabilisce un’opinione dominante essa stessa si alimenta da sola. Quando ci sono un flusso di dichiarazioni e un documento del Fmi che non sono teneri con l’euro, poi i mercati agiscono da soli, senza bisogno che vi sia bisogno di chissà quali accordi come in un classico complotto.
(Lorenzo Torrisi)