Il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, guarda con un certo scetticismo l’ultimo report del Fondo monetario internazionale, in cui si comunica che l’Italia è in recessione con un decrescita del 2,2% del Pil. Lo interpreta, non lo prende come se fosse il “verbo” indiscusso, la verità a cui tutti dovrebbero attenersi. Anche perché, solo qualche mese fa, le previsioni del Fmi erano del tutto diverse. Non si comprende quindi per quale ragione se la situazione è cambiata dalle stime fatte qualche mese, non possa cambiare in futuro.
Professor Fortis, a fronte di questi dati del Fmi, ci sono le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Mario Monti, che puntano su un concetto: l’Italia non è più la mina dell’Eurozona, anzi può contribuire a indicare delle soluzioni.
Il Fondo monetario internazionale continua a guardare con attenzione soprattutto l’Italia e la Spagna, tra l’altro mettendole quasi sullo stesso piano. Cominciamo subito a dire che la recessione in Italia è dovuta a una politica di austerità, che comunque non cancella un avanzo primario consistente. Il deficit italiano sarà del 2,8%, quello spagnolo sarà del 6,8% e non c’è avanzo primario. Quindi mi pare che ci sia già una differenza nei numeri. Ma il problema di fondo è che quella dell’Italia è sostanzialmente una recessione di austerità, quella della Spagna è una recessione per motivi interni, perché ha un’economia asfittica. C’è una bella diversità tra i due casi.
Per quale ragione allora il Fmi continua con questa linea di giudizio?
I numeri e i giudizi del Fondo monetario internazionale devono essere presi con molta cautela. Vanno avanti a previsioni che cambiano continuamente: ne avessero azzeccate una! Chi mi dice che lo scenario non possa cambiare, così come è cambiato negli ultimi mesi quando il Fmi faceva altre previsioni? Il fatto è che il Fondo monetario internazionale è molto interessato a prendersi “amorevolmente cura” di questi due paesi, di ristrutturare magari il loro debito. E questo, scusate, genera un grande sospetto.
A ben vedere invece le valutazioni su altri paesi dell’Eurozona sono abbastanza superficiali o comunque sono spesso sottovalutate.
Qui si vedono valutazioni piuttosto evanescenti. Alla fine non si guarda molto attentamente al Pil di Germania, Francia e Gran Bretagna, che segneranno una crescita intorno allo 0,5%. Il problema è che se, ad esempio, ci si permettesse di andare a fare le pulci alla Francia, magari la signora Christine Lagarde, ora direttore del Fmi, dovrebbe cambiare mestiere.
Poi ci sono le altalenanti dichiarazioni di Angela Merkel, che ripete e poi smentisce il ritornello che “ognuno deve cavarsela da solo”. Che ne pensa?
Devo dire che alla fine mi sono anche stancato di seguire le dichiarazioni della signora Merkel, che un giorno dice una cosa, un altro giorno la corregge, poi si mette a mediare. Il fatto vero è che la Germania in questa crisi ci sta guadagnando, sta traendo vantaggio. Continua a predicare austerità, richiama altri paesi, lascia che le cose vadano avanti in questo modo, cioè in un sostanziale immobilismo. Gli investitori sui mercati, in mezzo a dichiarazioni, previsioni e report, alla fine per i titoli di Stato si rifugiano nel Bund tedesco. E c’è un grande afflusso di capitali in Germania. Quindi il combinato tra austerità e “bastonate” agli altri Paesi, per un breve periodo paga: migliora la bilancia dei pagamenti della Germania, anche se il Pil non brilla, anche se si deve sacrificare un po’ di mercato, anche se le banche tedesche sono messe meno bene di altre, anche se il debito tedesco è arrivato a 2.100 miliardi di euro. Ma è una politica di breve periodo.
Intanto c’è la scadenza delle nuove regole europee.
E qui bisognerà mettere bene le regole in chiaro. E io spero e credo che Mario Monti lo faccia bene. Rispetto alla discesa di un ventesimo all’anno del rapporto debito/Pil eccedente il 60%, si sono stabiliti fattori rilevanti e attenuanti. Occorre tenere presente tutta una serie di fattori e in più bilanciare la politica del’austerità con la crescita. Altrimenti come si esce da questa situazione? Se a un Paese in recessione si applica una politica di austerità e poi magari delle sanzioni, che cosa si ottiene? Un disastro. Ad esempio, la recessione è un fattore attenuante. Ma per quanto riguarda l’Italia ci sono fattori rilevanti da mettere sul tavolo delle trattative. È un fattore rilevante la patrimonializzazione delle famiglie italiane, la loro ricchezza, che è superiore di 40 punti rispetto a quella della Germania? Bene, che valutazione ne diamo calcolando il Pil? La riforma delle pensioni che è stata attuata non è forse un altro fattore rilevante? È tenendo conto di questi punti, che deve essere intavolata la trattativa. Io credo che Mario Monti sappia fare bene il suo compito nell’interesse dell’Italia.
Oltre a tutto questo c’è l’allarme del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che spiega: “La crisi dei debiti sovrani ha messo a nudo molte debolezze a lungo neglette, innanzitutto l’inadeguatezza della governance europea: per il suo superamento sono ora chiamati a operare con drammatica urgenza tutti gli Stati membri”.
Mi sembra che l’allarme di Draghi sia più che ragionevole. Draghi, in questo periodo, è stato l’unico che ha operato ragionevolmente e ha fatto qualche cosa. Innanzitutto ha assicurato una liquidità che ha scongiurato un possibile credit crunch. È un’azione che ripeterà. Il problema è che Draghi lo fa con mezzi molto più limitati, in condizioni più difficoltose, di quello che hanno potuto fare la Fed americana e gli inglesi.
(Gianluigi Da Rold)