La crisi bancaria italiana non è ancora alla svolta e forse proprio per questo sta accelerando una caotica resa dei conti. Dalla quale nessuno sembra poter venire – o voler essere – escluso: banchieri e politici, Italia ed Europa, authority di vigilanza e magistrati, non ultimi i media (il capo della Vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo ha accusato in Parlamento i giornali di aver contribuito con il loro allarmismo all’aggravarsi dell’instabilità finanziaria). Il caso della Popolare di Vicenza offre una sintesi emblematica. Il suo stato problematico era noto fin dal settembre 2015: prima ancora delle risoluzioni di Banca Etruria & C. che hanno segnato l’inizio dell’emergenza manifesta per il settore creditizio in Italia. Il presidente Gianni Zonin finì nel registro degli indagati e si dimise poco dopo. Ma è stato interrogato per la prima volta dalla Procura di Vicenza 17 mesi dopo: per affermare di non aver compiuto e nemmeno conosciuto nulla di quanto ha prodotto un crack multi-miliardario.
Nel frattempo a Vicenza è accaduto di tutto: anche che l’attuale governatore della Banca d’Italia abbia dovuto difendersi a stento con un inedito memoriale (e Ignazio Visco non ha potuto non riferirsi all’attività di vigilanza del suo predecessore, l’attuale capo della Bce Mario Draghi). Ma attorno alla Popolare è avvenuto molto altro: un surreale tentativo di salvataggio di mercato, inizialmente garantito da UniCredit, ritiratasi all’ultimo rivelando così una propria situazione di difficoltà. È stato così che il Ministero dell’Economia ha sponsorizzato una soluzione d’emergenza battezzata Atlante, quando ormai la nuova normativa europea bail-in (votata dal governo Renzi) legava all’Italia le mani dell’intervento pubblico, lasciate invece libere per anni in Francia, Germania, Olanda e Spagna.
Grandi banche, grandi Fondazioni, assicurazioni e la stessa Cassa depositi e prestiti hanno dovuto raccogliere e investire 2,5 miliardi (oggi già virtualmente bruciati) nella Vicenza e nella cugina Veneto Banca: un salvataggio pubblico forzatamente mascherato da privato, con la Bce nel ruolo di carabiniere arcigno, mai di problem-solver. E con la crisi bancaria italiana – quella delle Popolari venete, di Etruria & C e soprattutto di Mps – giocate come dadi su tanti tavoli: dalle prove muscolari nella Ue o nel consiglio Bce fino alla scissione nel Pd.
Il premier Renzi che ha sbandierato a intermittenza la commissione parlamentare d’inchiesta (alla fine si farà, ma il copione è opaco) è lo stesso che ha sempre difeso rigidamente Maria Elena Boschi, oggettivamente coinvolta con la famiglia nel crack Etruria. È lo stesso premier che fino al 5 dicembre 2016 ha garantito sulla stabilizzazione di Mps con il supporto di JPMorgan e tre giorni dopo si è dimesso lasciando platealmente al suo destino anche il colosso senese. Il quale – prima di Natale – è stato al centro di una corsa contro il tempo per il varo di un decreto salva-banche, dotato di 20 miliardi per le ricapitalizzazioni pubbliche. Siamo quasi arrivati a Pasqua: Mps sembra uscito dai radar di Ue e Bce che – sulle Popolari venete – sembrano rimpallarsi la responsabilità di dare via libera alla messa in sicurezza delle due banche (oggetto di ritiri di depositi ormai preoccupanti). Non da ultima, nel Nordest, anche la magistratura civile sembra camminare per conto suo: proprio mentre le due Popolari erano impegnate allo stremo nella raccolta di adesioni a una difficilissima offerta di transazione per gli azionisti che hanno preso tutto, alcuni sentenze hanno dato ragione a singole cause di risarcimento integrale.
Non c’è bisogno di inchieste giudiziarie o giornalistiche per distinguere fra buoni e cattivi nella Caporetto bancaria italiana: nella quale nessuno è innocente e nessuno può atteggiarsi a giudice.benché tutti si affannino nel blame game di accusare gli altri. Sarebbe opportuno non perdere altro tempo e costruire una linea del Piave. Ed evitare – come fece il generale Cadorna – di correre a scrivere che era stata tutta colpa di soldati vigliacchi, agli ordini di un suo subalterno.