Un quarto trimestre 2012 negativo per l’economia di Italia, Francia e Germania, proprio mentre Stati Uniti e Giappone iniziano a beneficiare dei primi segnali di ripresa. Il Prodotto interno lordo dell’Italia registra un -0,9% ed è in calo da 18 mesi consecutivi, come non accadeva dal 1992-1993. La Francia registra invece una crescita zero, contro il +0,3% che era stato stimato in precedenza, e perde 28.100 posti di lavoro nell’arco di soli tre mesi. In Germania il Pil nel quarto trimestre 2012 è sceso dello 0,6% rispetto al trimestre precedente. Ilsussidiario.net ha chiesto a Leonardo Becchetti, professore del dipartimento di Economia all’Università Tor Vergata di Roma, di commentare questa caporetto europea.
Come valuta i dati sul calo del Pil nei principali Paesi del Vecchio Continente?
L’Europa compete con Giappone e Stati Uniti, i quali hanno ben chiaro il problema di fare ripartire lo sviluppo. Il Giappone, con un debito pari al 233% del Pil, ha deciso di aumentare la spesa pubblica e di svalutare il cambio per fare ripartire il Paese. Negli Usa, con una decisione rivoluzionaria, la Federal Reserve ha deciso che il suo obiettivo non è fermare l’inflazione ma la disoccupazione, che deve ritornare al di sotto del 6,5%. L’Europa al contrario risponde con ilFfiscal compact. La domanda che sorge spontanea è se siamo matti noi europei o siano matti giapponesi e statunitensi.
Qual è la risposta?
L’economia del Vecchio Continente sta pagando le politiche aggressive di Stati Uniti e Giappone, che si ripercuotono sui tassi di cambio provocando un ulteriore apprezzamento dell’euro. La combinazione di apprezzamento dell’euro e Fiscal compact ha portato a un calo del Pil. A farne le spese non è solo l’Europa del Sud, ma anche quella del Nord. La spesa a bilancio dell’Ue è stata molto deludente, perché ha tagliato ricerca e infrastrutture, aumentando solo la coesione sociale. C’è quindi un problema molto serio, che riguarda in primo luogo l’individuazione del livello di cambio ottimale, e che per l’economia europea coinciderebbe con un cambio euro-dollaro molto più basso rispetto a quello che c’è oggi sui mercati. L’Europa deve quindi abbandonare il suo atteggiamento di politica economica troppo rigorista e restrittiva, che si basa su un’idea teorica sbagliata.
Dove sta esattamente l’errore?
Nella convinzione che il rigore sia di per sé sufficiente a fare ripartire lo sviluppo. Sulla base di questi modelli, più rigore oggi significa meno tasse domani, e sapendo che domani ci saranno meno tasse i cittadini comincerebbero a spendere di più oggi. Ciò è qualcosa di assolutamente implausibile dato il contesto in cui viviamo, la recessione in cui ci troviamo, la crisi di liquidità che affrontano le famiglie italiane e la difficoltà di accesso al credito.
Lei prima ha spiegato che Giappone e Stati Uniti stanno attuando politiche opposte rispetto all’Ue. Il Pil di questi Paesi sta crescendo?
Nel quarto trimestre del 2012 il Pil degli Stati Uniti è cresciuto dell’1,5%, mentre quello del Giappone nello stesso periodo è aumentato dello 0,4%. In America inoltre è in atto una correzione dei livelli di occupazione. La politica della Fed di Ben Bernanke sta quindi raggiungendo l’obiettivo di tagliare la disoccupazione di circa un punto e mezzo percentuale, dall’8,5% al 7%, avvicinandosi al 6,5% verso cui la banca centrale sta cercando di farlo atterrare.
I trattati europei stabiliscono però che l’unico compito della Bce sia quello di mantenere stabile l’euro, mentre non prevedono l’attuazione di politiche espansive…
Di fatto in un contesto di politica fiscale difficile per il debito, tutti i poteri delle politiche macroeconomiche sono concentrati nelle mani della banca centrale. Ciò è avvenuto tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, e il motivo è che si riconosce il fatto che oggi le banche centrali hanno un potere enorme, forse l’unico vero potere, che consiste nella creazione di moneta. Questo potere va esercitato nei limiti posti all’espansione della spesa pubblica. Di fatto Draghi sta facendo dei salti mortali per fare coincidere l’obiettivo di una politica non troppo rigorista con un’inflazione a livelli ragionevoli. Lo documenta il fatto che ha dichiarato che se il cambio euro/dollaro si dovesse svalutare troppo, ciò potrebbe abbassare il livello dell’inflazione fino a consentire una politica accomodante da parte della Bce.
@leonardobecchet
(Pietro Vernizzi)
Nella convinzione che il rigore sia di per sé sufficiente a fare ripartire lo sviluppo. Sulla base di questi modelli, più rigore oggi significa meno tasse domani, e sapendo che domani ci saranno meno tasse i cittadini comincerebbero a spendere di più oggi. Ciò è qualcosa di assolutamente implausibile dato il contesto in cui viviamo, la recessione in cui ci troviamo, la crisi di liquidità che affrontano le famiglie italiane e la difficoltà di accesso al credito.
Lei prima ha spiegato che Giappone e Stati Uniti stanno attuando politiche opposte rispetto all’Ue. Il Pil di questi Paesi sta crescendo?
Nel quarto trimestre del 2012 il Pil degli Stati Uniti è cresciuto dell’1,5%, mentre quello del Giappone nello stesso periodo è aumentato dello 0,4%. In America inoltre è in atto una correzione dei livelli di occupazione. La politica della Fed di Ben Bernanke sta quindi raggiungendo l’obiettivo di tagliare la disoccupazione di circa un punto e mezzo percentuale, dall’8,5% al 7%, avvicinandosi al 6,5% verso cui la banca centrale sta cercando di farlo atterrare.
I trattati europei stabiliscono però che l’unico compito della Bce sia quello di mantenere stabile l’euro, mentre non prevedono l’attuazione di politiche espansive …
Di fatto in un contesto di politica fiscale difficile per il debito, tutti i poteri delle politiche macroeconomiche sono concentrati nelle mani della banca centrale. Ciò è avvenuto tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, e il motivo è che si riconosce il fatto che oggi le banche centrali hanno un potere enorme, forse l’unico vero potere, che consiste nella creazione di moneta. Questo potere va esercitato nei limiti posti all’espansione della spesa pubblica. Di fatto Draghi sta facendo dei salti mortali per fare coincidere l’obiettivo di una politica non troppo rigorista con un’inflazione a livelli ragionevoli. Lo documenta il fatto che ha dichiarato che se il cambio euro/dollaro si dovesse svalutare troppo, ciò potrebbe abbassare il livello dell’inflazione fino a consentire una politica accomodante da parte della Bce.
@leonardobecchet
(Pietro Vernizzi)