Le anime del Pd sono di nuovo ai ferri corti. La scorsa settimana è cominciata con i brogli alle primarie di Napoli e il ricorso di Bassolino, snobbato dalla segreteria del Partito democratico, e si è conclusa con l’intervista di D’Alema al Corriere in cui il “leader maximo” non si sentiva di escludere la nascita di un nuovo soggetto politico a sinistra di Renzi. Ieri, al culmine di una polemica incentrata sulle glorie passate e sulla fine dell’Ulivo, Bersani ha rimbrottato Renzi mandandogli a dire: “guarda che governi con i miei voti”. Per il costituzionalista Stelio Mangiameli, “le primarie non si sono radicate nel sistema politico, né nella coscienza politica degli italiani”. Regolarle per legge “potrebbe anzi accelerare e incrementare il collasso dei partiti politici e per colpa di questi della democrazia italiana”.
Partiamo dalla vittoria dimezzata di Giachetti a Roma e dai brogli che hanno tolto la vittoria a Bassolino a Napoli. Che ne pensa?
Potremmo anche andare un po’ indietro, alle primarie in Liguria, finite tra brogli e contestazioni, con la scissione di Cofferati e la vittoria del portavoce di Berlusconi che era stato candidato per non dare fastidio a Renzi e che oggi “ob torto collo” fa il presidente della Regione. E’ chiaro che primarie fiacche o contestate non sono di buon auspicio per i candidati, altri potrebbero approfittarne, come il M5s.
A Roma molto probabilmente sarà così. Anche se a proposito dei grillini…
Appunto, dicevo che potrebbero approfittarne se non fossero esclusivisti dal punto di vista dell’organizzazione politica e culturalmente chiusi verso le ragioni dell’autogoverno locale. Il ragionamento sulla vittoria che sarebbe meglio evitare alle comunali di Roma perché poi ci sarebbero delle responsabilità da assumere, è come minimo sorprendente.
Torniamo al Partito democratico.
Nel caso del Pd, Genova, Roma e Napoli rappresentano storie diverse. Genova mostra che Renzi non sa selezionare i candidati e lo stesso era accaduto con il candidato Pd alla Regione Emilia Romagna, risultato eletto con una percentuale misera, espressione del disgusto della base del partito. A Roma il Pd paga il fio di una lunga degenerazione e Giachetti deve ringraziare la singolarità del M5s, se sarà eletto. Napoli è stata colpita dal ritorno di un personaggio del passato di cui c’era poco di cui gloriarsi, che, però, ha mostrato la pochezza della macchina del partito napoletano, che aveva già visto annullare le precedenti primarie.
Bisogna ammettere che il Pd è stato l’unico partito finora ad adottare questo metodo per selezionare i candidati. Altrimenti, si potrebbe dire con Renzi, torniamo ai capibastone. Secondo lei le primarie sono destinate a imporsi o no?
Ciò che questa esperienza sta mostrando è che l’interesse per le primarie scema a vista d’occhio e che questo metodo di selezione, che altrove è sinonimo di democrazia, da noi ha perduto ogni credibilità democratica. Le primarie non si sono radicate nel sistema politico, né nella coscienza politica degli italiani. Ancora meno credibili, dal punto di vista democratico, sono le selezioni on-line e anche queste non affascinano più di tanto. Non si tratta di tornare ai “capibastone”, quelli c’erano e ci sono ancora.
Lei dice?
Per forza. Se Renzi vuole candidare qualcuno in un seggio o fargli fare il capolista per farlo eleggere, crede che abbia degli ostacoli? Uno dei limiti dell’Italicum è rappresentato proprio dai cento capilista bloccati che saranno eletti senza voto di preferenza. Quei posti li distribuiranno Renzi e gli altri capibastone della politica italiana.
In due occasioni però paiono aver funzionato: nel novembre 2012, Bersani contro Renzi per la presidenza del Consiglio, e nel dicembre 2013 per la segreteria del Pd. E sono state primarie decisive, visto che sono servite a Renzi per mandare a casa Letta e ricevere da Napolitano l’incarico di formare il governo.
Io direi che proprio quelle due esperienze sono la prova provata del cattivo funzionamento delle primarie in Italia e del perché gli italiani le stiano disertando. Scusi: Bersani vince le primarie; diciamo che vince anche le elezioni, ma per formare il governo, dopo le elezioni, il capo dello Stato sceglie Letta. C’è stato un po’ un gioco delle parti, che si è ripetuto anche nel passaggio tra Letta e Renzi, il quale governa senza un voto degli italiani perché ha vinto le primarie per la segreteria, che non rappresentano nulla dal punto di vista delle istituzioni. Direi che siamo fuori dalla democrazia prevista dalla Costituzione e spero vivamente che la decisione di Napolitano di quel momento si sia basata su altre motivazioni.
Ma adesso? Che partito è quello che non accoglie il ricorso di Bassolino e lascia tutto in sospeso? Non pare un comportamento limpido…
Di limpido in politica c’è molto poco. I tedeschi hanno un motto che recita “la politica rovina il carattere” (Die Politik verdirbt den Charakter), per questo è necessario un ricambio nelle cariche e occorrono le elezioni e diversi livelli di governo, in modo che i politici si facciano una certa esperienza prima di giungere alle posizioni più importanti. Il ricorso di Bassolino è palesemente fondato, per questo non può essere discusso. D’altronde, sin dal primo momento si è cercato di impedirgli di ricandidarsi, dato che la sua esperienza per Napoli, la Campania e il Pd non è stata affatto positiva e faceva paura che potesse ripetersi. Né credo sicuro che Bassolino, come lui dice, possa battere gli avversari.
Sarebbe diverso se le primarie fossero regolate per legge?
Al momento sconsiglierei vivamente il legislatore dall’adottare il sistema delle primarie. A parte i costi che queste comporterebbero, potrebbero accelerare e incrementare il collasso dei partiti politici e per colpa di questi della democrazia italiana già alquanto provata.
La Toscana però ha fatto una legge apposita.
Non fa testo, non solo perché è stata abrogata nel 2014, quanto soprattutto perché non istituiva un obbligo per i partiti di servirsi delle primarie per scegliere i propri candidati. Inoltre i partiti potevano ammettere al voto solo i loro iscritti, per cui si trattava di una consultazione interna.
Secondo lei è un caso che lo scontro interno al Pd abbia riportato la discussione sull’Italicum, come abbiamo letto sui giornali di oggi?
No, non è affatto un caso. Alcune personalità della minoranza dem, ma l’insieme è alquanto eterogeneo, sanno bene che l’indole del popolo italiano, dopo l’esperienza del fascismo, accoglie con maggior favore i governi di coalizione, anche con qualche inefficienza, che peraltro non è scongiurata dall’Italicum. Nelle coalizioni vi è un reciproco controllo e la necessità di accordi garantisce che non si scivola nel potere personale. L’Italicum, nonostante quello che dice Renzi, dai sondaggi esce male e le dichiarazioni di Orfini di ieri sulla legge elettorale, come se fosse la legge di Highlander per cui ne rimarrà uno solo che potrà comandare su tutto e tutti, non fanno bene al Pd.
Previsioni?
Il referendum sull’Italicum sarà più problematico per il nostro presidente del Consiglio di quanto non possa essere in ottobre il referendum sulla riforma costituzionale.
Come siamo arrivati a questo punto?
Nel ‘900 la democrazia si è fondata sui partiti politici di massa, radicati nel territorio, con militanti ed elettori fedeli. Oggi i militanti non contano niente e lo sanno. Gli elettori non riescono a rimanere fermi perché si sentono continuamente traditi dai dirigenti politici che ormai sono saldamente a braccetto con i poteri forti. La nostra democrazia è sempre più una “post-democrazia”, conserva alcune forme della democrazia, come le elezioni, ma non riesce a trattenere la sostanza della democrazia.
E i partiti attuali?
I partiti attuali, un po’ populisti e un po’ personalisti — e il Pd è ormai entrambi —, si sono basati sulla logica plebiscitaria e della delega in bianco. Tuttavia per mantenersi nel tempo dovrebbero riuscire a riempire la pancia della plebe e ad offrire giochi da vedere. Ora, in televisione vi è tanto gioco, ma ogni giorno la pancia si riempie sempre meno. Ecco perché questi partiti perdono credibilità.
Che cosa ci attende?
Bisogna scongiurare che si giunga alla perdita totale di democrazia, che non si avrebbe con una dittatura, oggi improponibile, ma con le pratiche manipolatrici del consenso, sempre più praticate dalla politica con il finanziamento dei poteri forti e la complicità dei mezzi di informazione. Come uscirne? Con un processo di cittadinanza attiva che può mettersi in moto a partire dai fallimenti sin qui collezionati da tutti i governi, compreso quello in carica.
(Federico Ferraù)