Obama ha degradato l’alleanza con l’Europa e sta confermando con Pechino una relazione bilaterale privilegiata. Quanto dobbiamo preoccuparci?
Prima dobbiamo capire e serve una nota storica. Alla fine degli anni ‘70 i partiti comunisti cinese e russo compresero che dovevano rendere più efficiente l’economia se volevano restare al potere evitando di essere impiccati da masse impoverite.
Gorbachev, negli anni ‘80, fallì perché volle riformare l’economia socialista senza abbandonarla. Deng Xiaoping, invece, dal 1978 la sostituì, pur gradualmente, con quella di mercato.
Negli anni ‘90 il Partito comunista celebrò il nuovo sviluppo formalizzando la dottrina della libertà economica dissociata dalla democrazia, cioè il modello di “capitalismo autoritario”: il liberismo economico è lo strumento per realizzare gli obiettivi del socialismo.
Il successo alimentò l’ambizione imperiale, ma con enfasi sulla creazione di una influenza esterna per proteggere il modello autoritario interno: ridurre la pressione democratizzante per salvare il primato del Partito, mantenere coesa la società grazie all’orgoglio nazionalista, aumentare la ricchezza via dominio geopolitico. Ma con una strategia di lungo termine.
Prima fase: creare buoni rapporti con l’America per convincerla a privilegiare le esportazioni cinesi e grazie a questo moltiplicare la crescita. Seconda: vincolare l’America in una relazione G2 per farsi riconoscere secondo potere mondiale. Terza: secondarizzare l’America e conquistare la presidenza del tavolo multilaterale globale.
Siamo tra la fine della prima e l’inizio della seconda. L’ufficio scenari del Pentagono, nel 1995, predisse la terza nel 2024. Ma la necessità di Obama di farsi aiutare dalla Cina la sta anticipando. Ha bisogno di Pechino per: (a) ritirarsi dall’Afghanistan evitando un’immediata destabilizzazione di questo e, soprattutto, del Pakistan; (b) contenere l’Iran; (c) far comprare debito americano e così accelerare la ripresa in tempo utile per le elezioni nel 2012.
Per tali scopi ha già ceduto alla richiesta cinese di chiudere il G8, organismo euroamericano con il Giappone riconosciuto come primo potere asiatico, sostituendolo con il G20, organizzazione de-occidentalizzata dove far emergere il G2 sinoamericano. Cosa altro cederà?
Probabilmente Obama darebbe via anche le braghe, ma il sistema politico statunitense e la popolazione americana stanno reagendo e lo stanno limitando. Il primo, e la burocrazia imperiale di Washington, sanno che la Cina è un competitore strategico e non vogliono scassare del tutto l’alleanza con gli europei. La seconda sente il disagio morale di un presidente americano che va in Cina senza denunciarne (dirà qualcosina soft, concordato) l’autoritarismo e i campi di concentramento (Laogai).
La stessa Pechino non vuole una reazione anticinese nel mondo democratico. Lavora sul lungo termine e cerca di evitare incidenti prima di essere “pronta”. Quindi Obama cederà poco in apparenza e la Cina chiederà di meno, ambedue rassicuranti verso il mondo. Ma la sostanza, a porte chiuse, sarà comunque un passo in più di Pechino nel potere mondiale.
Ciò è inaccettabile. Non possiamo mettere al centro del mercato globale una nazione che, poiché priva di istituti democratici che regolano i conflitti, potrebbe essere destabilizzata da scontri al vertice del Partito comunista, con impatto sulle nostre tasche. Non possiamo lasciarle la svalutazione competitiva che destabilizza tutto il ciclo del capitale globale. Non possiamo permettere che il capitalismo autoritario vinca contro quello democratico.
Ma cosa possiamo fare? Ricostruire il potere dell’Europa, portare l’America a fare G2 con noi e insieme costruire un’alleanza globale delle democrazie che sia più grande della Cina e per questo capace di condizionarla e democratizzarla (si veda www.lagrandealleanza.it). Ma dopo Obama.