«L’aumento dell’Iva di un punto percentuale non produrrà sostanziali effetti negativi sulla nostra economia. Anche se per risolvere alla radice i problemi di bilancio dell’Italia bisognerebbe affrontare la questione del numero eccessivo di dipendenti pubblici presenti nel nostro Paese». Lo osserva Mario Deaglio, professore di Politica economica all’Università di Torino. L’incremento dell’aliquota Iva dal 21% al 22% scatta oggi, ma questo non basterà, a quanto pare, a riportare in linea i conti pubblici dello Stato. Secondo quanto fa sapere il ministero dell’Economia, occorrono altri due miliardi e mezzo di euro, ma un ulteriore taglio della spesa dei ministeri “potrebbe limitare fortemente il funzionamento delle amministrazioni e l’erogazione dei servizi”.
Quali saranno gli effetti sull’economia dell’aumento dell’aliquota Iva?
La diminuzione del gettito sarà irrilevante, in quanto si tratta di un aumento di meno di un punto percentuale sul prezzo di vendita. Se il prezzo base di un prodotto è 100, con l’Iva attuale il consumatore paga 121 mentre con l’aumento pagherà 122. Si tratta quindi di un effetto trascurabile, anche se non fa piacere a nessuno. È però probabile che la catena della distribuzione finirà in larga parte per assorbirlo. Qualche commerciante ne approfitterà per aumentare i prezzi, ma mi sembrano tutte conseguenze secondarie rispetto alla necessità di riallineare il bilancio.
Per quali motivi il deficit è tornato a salire superando il 3% del Pil?
Il deficit italiano è tornato a salire perché il Pil non ha fatto segnalare quella ripresa che era attesa da molti. Anche sulla possibilità che questa ripresa ci sia nel quarto trimestre gli esperti hanno opinioni contrastanti. Qualcuno la dà per sicura e qualcun altro afferma invece che bisogna rinviare le previsioni di un trimestre. Il gettito diminuisce rispetto alle previsioni perché queste ultime erano state eccessivamente ottimistiche.
Su che cosa bisogna intervenire per riportare il deficit in linea con i parametri di Maastricht?
Bisogna cercare di tagliare le spese. Ciò è però molto difficile in quanto il 70% dei costi dell’amministrazione pubblica italiana è costituito dagli stipendi del personale. Tagliare le spese significa quindi in larga misura licenziare delle persone, o comunque non sostituirle quando vanno in pensione. Soprattutto nel breve periodo non si può fare altro, mentre nel lungo termine vanno riorganizzati i servizi rendendoli più efficienti. Per realizzare dei tagli significativi alla spesa è necessario però ridurre il numero di dipendenti pubblici. La conseguenza sarà però quella di bloccare il turnover degli insegnanti e non avere la possibilità di assumere dei giovani.
Perché non è possibile ridurre gli sprechi?
Ci sono naturalmente degli sprechi, ma negli ultimi due anni sono stati già attuati dei tagli notevoli con una forte spending review sugli enti centrali dello Stato. I Comuni sono già costretti a ridurre i servizi perché non hanno più i fondi. Rimane una zona intermedia, le Regioni, i cui bilanci hanno ancora delle aree di spesa che potrebbero essere ridimensionate. Proprio per la loro autonomia, le Regioni sono però gli enti rispetto a cui un governo ha le minori possibilità d’intervento.
È possibile aumentare l’efficienza dell’amministrazione, anche senza licenziare i dipendenti pubblici?
Aumentare l’efficienza migliora il servizio offerto, ma non consente di risparmiare e quindi di riallineare il bilancio. L’unico modo per tagliare gli sprechi è non avere più personale in soprannumero, l’obiettivo di medio e lungo periodo è dunque sicuramente quello di aumentare l’efficienza. Ai fini del rispetto del rapporto del 3% tra deficit e Pil, una maggiore efficienza è una gradita notizia ma che non cambia nulla.
Quali alternative ci sono a uno sforamento del tetto del 3%?
L’alternativa è quella indicata dal ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, secondo cui nel quarto trimestre avremo comunque un minimo di ripresa che ci consentirà di avere più gettito pubblico e di rimanere quindi al di sotto del tetto del 3%.
(Pietro Vernizzi)