Assessore Cattaneo, nonostante il diverso orientamento politico nei due anni scorsi tra Regione e governo si è sviluppato un dialogo costruttivo. Cosa si attende la Regione Lombardia dalla nuova maggioranza di governo?
Mi attendo un dialogo ancor più costruttivo. Se il rapporto con il ministro Di Pietro è stato buono, mi attendo che il rapporto con il ministro Matteoli e il governo Berlusconi sia ottimo. Non vedo perchè non debba essere così. Ovviamente misureremo i fatti, ma non ho motivo di dubitare che i fatti daranno ragione alle nostre aspettative. Il primo colloquio che abbiamo avuto in Lombardia con il sottosegretario Castelli le conferma. Attendiamo a breve un incontro con il Ministro Matteoli per stabilire la stessa sintonia anche con lui. Non ho motivo di dubitare che così sarà.
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Quali sono le decisioni più urgenti che debbono essere prese per lo sviluppo infrastrutturale della Lombardia?
Per quanto riguarda le cose da fare, è presto detto: interventi autostadali – a cominciare da Pedemontana, Brebemi e Tangenziale est esterna – stradali, come Valtellina e Paullese – e ferroviari, sia l’alta capacità che le linee regionali. Il programma è molto chiaro e lo abbiamo condensato anche in documenti molto sintetici, con un ordine di priorità per le diverse tipologie di intervento. Ma la questione più rilevante è un’altra.
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Quale?
L’accelerazione delle procedure. La più urgente di tutte è quella relativa al via libera – che ci aspettiamo dal governo – alla legge regionale sulle infrastrutture di interesse concorrente, che sono poi tutte quelle più importanti. Legge che il governo potrebbe impugnare davanti alla Corte costituzionale, perchè è una legge di forte impronta federalista. Oppure, al contrario, potrebbe decidere non solo di non impugnare, ma anche di assecondare l’iter con una analoga norma di tipo statale. Noi ovviamente ci auguriamo questa seconda ipotesi.
Quali sono i tempi della vostra tabella di marcia?
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Un “gong” su tutti suonerà la fine del tempo che abbiamo a disposizione: l’Expo del 2015. Per essere ancor più chiari: avevamo già un programma dettagliato di opere da realizzare il cui cronoprogramma era previsto tra il 2009 e il 2015. Tutte le opere stradali e ferroviarie più importanti sono state calendarizzate in questo arco temporale. Il fatto che il primo maggio del 2015 arriveranno in Lombardia, e in particolare nel polo fieristico di Rho-Pero, 160 mila persone al giorno, cioè il doppio dei visitatori del Salone del Mobile nel giorno di punta, costringerà a costruire tutte queste opere entro il 2015, perchè altrimenti è evidente quale sarà la penale che paghiamo tutti: l’immobilità di tutta la Lombardia. Già oggi, quando c’è il Salone del Mobile, si fa fatica a muoversi in tutto l’arco delle tangenziali, sull’Autostrada dei Laghi e in tutte le vie di accesso a Milano. Con il doppio dei visitatori, non per tre giorni, ma per sei mesi, è evidente che o avremo fatto queste nuove opere o non ci si muoverà più.
Nel trasporto su ferro – treni e metropolitane – la costruzione delle infrastrutture è solo un primo passo. Serve poi finanziare l’acquisto dei materiali rotabili, ma anche gestire i servizi. Qual è il futuro dei servizi ferroviari regionali?
Il futuro, secondo quello che ha previsto la Regione Lombardia, è quello di uno sviluppo crescente nella qualità e nella quantità, basato su uno scenario programmatico che prevede un forte potenziamento delle linee S (le linee suburbane, che interessano il territorio nel raggio di 30 chilometri da Milano, sul modello delle linee tedesche), che avranno il loro punto di forza nella frequenza.
Le linee S prevedono, con un orario cadenzato, cioè allo stesso minuto a tutte le ore del giorno, dalle sei a mezzanotte, un treno ogni 30 minuti, che può diventare un treno ogni 15 minuti delle ore di punta. Il disegno si integra, nell’arco dei 60 chilometri da Milano, con le linee R, le linee del trasporto regionale, quelle che invece che sulla frequenza – un treno ogni 60 minuti – puntano sulla velocità. Chi si sposta da Bergamo, da Como o da Pavia, da Varese verso Milano deve poterlo fare in un tempo sufficientemente rapido. Questo è l’impianto strategico.
Va bene, ma i soldi?
Per fare questo occorrono molte risorse. Solo per i nuovi servizi, da qui al 2015 occorrono circa 180 milioni di euro, che sono l’equivalente dell’importo attuale dei contratti di servizio che abbiamo per i servizi ferroviari. È un piano molto “forte”, che presuppone anche materiale rotabile nuovo. Non possiamo realizzare questo potenziamento con i treni attuali, sia perchè non sono sufficienti, sia perchè sono troppo vecchi. Li abbiamo già comprati e stanno finalmente arrivando in consegna. I pendolari cominciano già a vedere i primi modelli concreti di come sarà il servizio ferroviario che stiamo costruendo. Certo – ripeto – questo è anche un problema di risorse. Un servizio ferroviario con un treno ogni 15 minuti nelle ore di punta, nuovo, confortevole, che opera su una rete anch’essa ammodernata, in grado di garantire puntualità e condizioni di viaggio migliori, è un treno che costa anche di più. Questo è il vero nodo, che per essere risolto richiederà un’azione su vasta scala.
Si spieghi.
Richiederà un’azione coordinata su tre leve. La prima è l’aumento di contributi pubblici. Tutte le regioni hanno posto già al nuovo governo Berlusconi il tema del trasporto pubblico locale come prima priorità del federalismo fiscale, anche prima della sanità. La seconda leva è continuare nel processo di efficientamento delle aziende, che vuol dire aumentare la produttività per addetto, ancora troppo bassa rispetto alle aziende di trasporto pubblico che operano in Europa. Ma vuol dire anche regole migliori, bacini più ampi: In Lombardia abbiamo un sistema basato su bacini ancora troppo piccoli, su una dimensione che non consente sinergia.
Cosa intende per bacini?
Il servizio ferroviario è organizzato su scala regionale, ma il servizio su gomma – gli autobus pubblici – sono organizzati sulla base di 11 bacini, che corrispondono ai comuni capoluogo e, per la parte rimanente, sulle 11 province. Ci sono aree territoriali entro cui il servizio viene programmato dai comuni o dalle province. Questo fa sì che la dimensione di un servizio che viene messo a gara è troppo piccola se paragonata con quella che viene messa a gara nel resto d’Europa, dove la dimensione media è 4-5 volte più grande di quella con cui operiamo noi. Le modifiche che stiamo introducendo prevedono un ampliamento della dimensione, che avrà anche un’altra conseguenza positiva: costringerà a pensare ai servizi integrati.
Integrazione cioè tra servizio su gomma e su ferro?
Oggi abbiamo un servizio pubblico che spesso mette in concorrenza autobus e treni che fanno servizio sulla stessa linea e che non prevede un’integrazione a pettine dei servizi automobilistici sulle stazioni ferroviarie, perchè poi ci possa essere l’utilizzo come punto di penetrazione verso il capoluogo della ferrovia. Questo tema dell’integrazione porta con sé, ovviamente, anche il tema dell’integrazione tariffaria: costruire un sistema che consenta con un biglietto solo di utilizzare treno, autobus, tram, metropolitana. Stiamo lavorando per un servizio migliore che sia anche meglio organizzato, che permetta alle aziende di operare con maggiore efficienza e criteri più economici.
Parlava di tre leve su cui agire: aumento di contributi pubblici e efficientamento delle aziende. La terza?
C’è una terza leva che è quella delle tariffe. Non possiamo pensare di creare un servizio più efficiente e moderno se il prezzo che si paga per questo servizio rimane quello attuale. Abbiamo tariffe che sono meno della metà della media europea. E la somma di tariffe e contributi pubblici rimane comunque intorno alla metà della media europea. La remunerazione per treno-chilometro o per bus-chilometro del servizio di trasporto pubblico in Italia e in Lombardia è 11 centesimi al chilometro per il treno, mentre la media europea è 21. È impossibile che in queste condizioni il servizio possa fare un salto di qualità come quello che tutti ci aspettiamo.
Un’ultima domanda. Parlare di infrastrutture, vuoi per un fatto tecnico legato a questi investimenti, vuoi per problemi attinenti più alla sfera culturale, in Italia vuol sempre dire parlare di ambiente. La sua amministrazione come intende muoversi?
Il problema è innanzitutto di ordine culturale. Si tratta di capire se partire da un’antropologia, da una visione dell’uomo e della realtà, per la quale qualunque intervento sull’ambiente è sempre negativo – un’antropologia alla Rousseau, alla Hobbes – o se partiamo da un’antropologia che parte dall’ipotesi opposta, cioè che l’uomo è in grado di interagire positivamente con l’ambiente. Ciò è molto più coerente con la nostra esperienza. Se fosse vera la prima ipotesi, vivremmo ancora tutti in una pianura malsana, visto che lo stato di natura della pianura padana era quella di un acquitrino fangoso e inospitale. La scommessa che stiamo facendo in Lombardia è esattamente questa: che è possibile un’azione positiva dell’uomo che modifichi l’ambiente senza distruggerlo. Si possono fare le infrastrutture fatte bene, belle, che ricuciono il territorio anziché distruggerlo, e lo si può fare scommettendo sulla capacità positiva degli operatori e sulla inevitabile operazione calmieratrice dello Stato, che certo ci deve essere per fare le regole, ma che non si deve sostituire al protagonismo dei soggetti sociali.
Qual è il principio ispiratore della sua amministrazione in tema di infrastrutture?
È il principio di sussidiarietà. Si vince questa partita se si scommette sul protagonismo, sulla capacità di azione delle imprese e delle organizzazioni sociali e non sul vecchio modello della pianificazione statale. Da un lato questo vecchio modello è impraticabile: non ci sono più soldi e ha evidentemente fallito, anche nel campo delle infrastrutture. Affermare che la sussidiarietà funziona nel campo delle infrastrutture è una bella sfida, visto che difesa, giustizia e opere pubbliche sono, nel pensiero classico, le tre attività tipiche dello Stato. Io sono convinto che queste attività oggi non sarebbero realizzabili senza una radicale inversione di cultura, senza introdurre anche qui un modello che si è dimostrato essere adeguato, vincente e funzionale nel campo della sanità, dei servizi sociali, dell’istruzione, e che proprio per questo non può essere limitato solo a questi ambiti. Con questo approccio noi faremo, senza un euro di risorse pubbliche, la Bredemi e la Tangenziale est esterna, opere che valgono oltre tre miliardi e mezzo di euro. E abbiamo ridotto da 2,7 miliardi a 1,2 miliardi il contributo pubblico per fare la Pedemontana, facendo risparmiare alle casse pubbliche oltre un miliardo e mezzo di euro. Questo approccio ha già dimostrato non solo di rimettere in moto le procedure, ma anche di far risparmiare un sacco di soldi.
(Foto: Imagoeconomica)