Ricompare il tema delle riforme istituzionali nell’agenda politica. Almeno questo sembra essere l’auspicio del presidente Berlusconi, secondo le dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni: occorrerebbe introdurre il presidenzialismo, perché – così egli afferma – con l’attuale struttura istituzionale l’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa. Dunque, entro la fine della legislatura bisognerebbe pervenire alla modifica della Costituzione italiana in senso presidenzialista, secondo il capo del governo.
Ma di che cosa si tratta? Cosa si intende per presidenzialismo?
Il presidente Berlusconi non ha precisato a quale modello di presidenzialismo intenda ispirare le riforme. Probabilmente il suo pensiero va al sistema americano, dove il presidente ha un grande peso politico, derivante anche dalla sua elezione diretta. Elezione diretta del capo dello stato e incremento del suo ruolo politico: sono questi gli aspetti che si vorrebbero introdurre in Italia.
Ma il presidenzialismo non è solo questo: è vero che il presidente americano ha un significativo ruolo politico, specie nell’ambito della politica estera – grazie anche alla leadership degli Usa sulla scena internazionale -, ma i suoi poteri sono significativamente circoscritti da una serie di pesi e contrappesi interni, indispensabili perché il ruolo del presidente non degeneri.
Questi aspetti del presidenzialismo sono forse quelli a cui si presta meno attenzione: il Presidente negli Usa può fare molto, moltissimo, ma deve anche fare i conti con un’architettura istituzionale che può limitarlo in modo significativo. Ad esempio, il Congresso – grazie a un sistema di cadenze elettorali molto ravvicinate – spesso è dominato da una maggioranza politica avversa al partito del Presidente: un presidente repubblicano convive spesso con un congresso democratico, e viceversa.
Inoltre, e più decisivo, il potere forte del Presidente è temperato dalla struttura – e dalla cultura – autenticamente federale che caratterizza il dna della società e delle istituzioni americane, e che tutto sommato è penetrata solo in misura modesta nel vecchio continente.
Senza questi contrappesi, la riforma auspicata potrebbe avviare il nostro paese verso il modello sudamericano, anziché nordamericano.
Il presidenzialismo non può essere ridotto alla semplice elezione diretta del capo dello Stato. Perché il sistema sia equilibrato, occorrerebbe una riforma assai più complessa e globale del sistema costituzionale.
Ma è proprio questo ciò di cui ha bisogno il nostro Paese in questo momento? Le riforme costituzionali complessive, quando si apre la discussione, assorbono pressoché integralmente l’agenda politica. È dal 1985 che periodicamente si propone un ammodernamento della parte II della Costituzione. Puntualmente tutte le riforme costituzionali si sono arenate: l’ultimo episodio si colloca durante il precedente governo Berlusconi, il cui progetto di riforma costituzionale è stato fermato con referendum popolare. E’ davvero necessario tentare nuovamente l’esperimento?
Tutti i precedenti progetti di riforma costituzionale si dicevano necessari per rimediare alla debolezza del governo nel sistema politico italiano. Certamente è vero che la forma di governo vigente – di tipo parlamentare – non disegna un “governo forte” né tanto meno un “capo del governo forte”. Ma è anche vero che con le riforme elettorali che si sono susseguite dal 1993 in poi si è rimediato sul piano elettorale a gran parte delle debolezze che caratterizzavano la posizione del governo nel sistema costituzionale.
Già oggi la forma di governo parlamentare italiana non ha il suo perno politico nel parlamento, ma nel governo. Il governo può durare l’intera legislatura e durante il suo mandato ha molti strumenti di azione. Il governo se vuole può agire, ha tutti gli strumenti per portare avanti le sue politiche e dimostra di saperlo fare all’occorrenza.
Perché, dunque, riproporre adesso il tema delle riforme istituzionali?
La vita della gente sta subendo forti e repentini cambiamenti sotto la pressione della crisi economica e finanziaria, della trasformazione della compagine sociale, dell’immigrazione, del veloce evolvere della ricerca scientifica e tecnologica: c’è urgenza di azioni politiche di lungo periodo sul fronte economico, sociale, educativo, sanitario.
Forse, più che di un governo che pensa a come rafforzare il proprio potere, il popolo italiano ha bisogno di un governo che usi il potere che ha per affrontare i problemi reali del Paese.