Personalmente ritengo che per proseguire positivamente la riflessione cui invita la Nota di Comunione e Liberazione sulla situazione politica e in vista delle prossime scadenze elettorali, pubblicata lo scorso 2 gennaio, sia utile prendere innanzitutto le mosse da come il Magistero vede Cl e da che cosa pro bono Ecclesiae si attende dal movimento. A questo proposito mi sembra fondamentale la lettera che l’11 febbraio 2002, 20esimo anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione, Giovanni Paolo II scrisse a mons. Luigi Giussani.
In tale documento il Papa osserva tra l’altro che il “dialogo permanente con Cristo, alimentato dalla preghiera personale e liturgica, è stimolo per un’attiva presenza sociale, come testimonia la storia del movimento e della Fraternità di Comunione e Liberazione”. E continua dicendo che “La vostra è, in effetti, storia anche di opere di cultura, di carità, di formazione e, nel rispetto della distinzione tra le finalità della società civile e della Chiesa, è anche storia di impegno nel campo politico, un ambito per sua natura ricco di contrapposizioni, in cui arduo risulta talvolta servire fedelmente la causa del bene comune”.
Come già altrove ebbi modo di scrivere, ciò significa che il Papa giudica positiva la scelta di Cl per un impegno in ogni ambito della vita civile, anche a costo di correre il rischio di una presenza laddove “arduo risulta talvolta servire fedelmente la causa del bene comune”. E’ nel medesimo tempo un’approvazione e un ammonimento. Di entrambe le cose dobbiamo tenere ugualmente conto, tanto più dopo che il 24 marzo 2007, parlando a Roma davanti a piazza San Pietro e a via della Conciliazione gremite da partecipanti al pellegrinaggio promosso dalla Fraternità di Cl, Benedetto XVI ribadì quanto provvidenziale per la Chiesa sia anche oggi il movimento.
Venendo ora in particolare all’impegno nella vita civile, vale la pena di sottolineare che la posizione al riguardo di mons. Giussani e quindi del movimento è sempre stata chiaramente ispirata a quel principio di laicità che – giova ripeterlo ancora una volta – entrò nella storia con Gesù Cristo ed è tipicamente cristiano, tanto e vero che nelle culture di altra matrice (si pensi ad esempio a quelle di matrice musulmana) o non esiste o fatica molto ad affermarsi.
Nella Nota più sopra ricordata si rinvia in proposito al libro Il Movimento di Comunione e Liberazione. Conversazioni con Robi Ronza, Jaca Book, Milano (1976), 1986. Proprio perché ebbi la ventura, o meglio la grazia, di collaborare strettamente alla realizzazione di questa opera – che è la fonte diretta principale riguardo al sorgere e ai primi trent’anni di vita del movimento – per evitare confusioni preferisco non citarlo nei miei scritti. Anche qui dunque non lo citerò, limitandomi ad invitare tutti alla lettura in particolare delle pagine (118-121 dell’edizione del 1986; 194-198 dell’edizione del 1976) cui molto opportunamente la Nota in questione fa riferimento. Il libro non è oggi reperibile nelle librerie, ma se ne può raggiungere senza difficoltà l’edizione telematica “sfogliabile” sul sito scritti.luigigiussani.org.
Tutto ciò premesso, resta il fatto che, fino a un passato recentissimo, le scelte programmatiche e quindi elettorali via via proposte da aderenti a Cl che si erano assunti “il rischio di un tentativo politico” risultavano sostanzialmente unitarie, e sempre godevano di un generale sostegno e spesso anche di una generale mobilitazione della gente del movimento. Perciò non sorprende che le attuali divaricazioni possano suscitare in molti un disagio che non sarebbe paterno né fraterno sottovalutare. Dopo tante mobilitazioni generali, spesso sia soggettivamente che obiettivamente pesanti, siamo forse giunti a uno scombinato, contraddittorio e sconfortante “ognuno per sé”? Ci eravamo sbagliati prima o ci sbagliamo adesso?
Piuttosto che nella vita nel movimento, la risposta a tali quesiti va ricercata nella storia. Quello che ora si chiama Cl nacque negli anni della Guerra fredda quando – con ottimi motivi contingenti, ma non perciò meno importanti – la Chiesa chiedeva in Italia ai cattolici in via eccezionale il sostegno elettorale e rispettivamente la militanza politica in un solo partito, la Democrazia cristiana. Ciò consentì di fatto anche tra noi una sovrapposizione fra due cose di per sé non identiche, ossia da un lato una comune idea e un comune metodo “d’affronto dei problemi comuni” e dall’altro la “militanza politica vera e propria”. Oggi, a oltre vent’anni dalla fine della Guerra fredda e dalla conseguente fine della Democrazia cristiana e così via, è più che mai ora di cambiare. Come farlo senza che un cambiamento di tanto peso comprometta quel “vivere e testimoniare la fede come pertinente alle esigenze della vita” che è l’essenziale della nostra esperienza e mancando il quale pure il nostro impegno nella vita pubblica diventerebbe inutile per noi e per tutti? Questo è un problema alla cui soluzione ciascuno di noi con la sua vocazione e con le sue responsabilità è chiamato a dare il proprio contributo.
La comunione nella fede è una profonda amicizia che tende per natura alla concordia. Può essere inevitabile che non ci si arrivi, ma non si vede perché se ne dovrebbe gioire e sentirsi per questo “cattolici adulti”. E’ qualcosa che dispiace e che a mio avviso deve sempre andare di pari passo con un dialogo orientato non tanto ad arrivare alla scelta “giusta” o più ufficiale delle altre, il che sarebbe equivoco, quanto a una reciproca comprensione dei motivi per cui, pur a partire da una condivisa idea e da un condiviso metodo di affronto dei problemi comuni, si è giunti a giudizi e quindi a scelte differenti.