Dicono che Silvio Berlusconi non volesse credere che un grande partito come il Pd davvero fosse intenzionato a cercare rogna su un tema delicato come quello della sua presunta ineleggibilità. Alla fine ha dovuto arrendersi all’idea che tutti i segnali inviati in direzione di Largo del Nazareno fossero caduti nel vuoto ed è sceso in campo in prima persona, sibilando che “c’è qualche genio che vuole eliminare me e il Movimento 5 Stelle, così il Pd correrebbe da solo”.
E’ un richiamo brusco alla realtà, che esige una forte presa di posizione da parte del gruppo dirigente democratico, che è adesso davanti a un bivio. E per essere ancora più chiaro Berlusconi tiene separata la questione politica da quella del governo: “Abbiamo tra le mani un’occasione straordinaria, dice, noi faremo tutto il possibile affinché l’occasione non sia perduta, daremo il nostro sostegno più forte e leale al governo”.
E’ chiaro però che se i commissari Pd dovessero votare con i grillini la ineleggibilità di Berlusconi il governo non durerebbe un minuto di più, ma non per colpa del governo, bensì di alcuni irresponsabili eletti nel partito oggi guidato da Epifani, che non si vogliono fare una ragione di sedere nella stessa maggioranza con il Pdl.
Continua a mancare del tutto, come da vent’anni a questa parte, la legittimazione reciproca. Eppure, ragionavano gli uomini di Berlusconi, per ben cinque volte il Cavaliere è stato giudicato eleggibile, tanto da maggioranze di centrodestra, che di centrosinistra. E persino un costituzionalista tutt’altro che sospettabile di berlusconismo come Valerio Onida, già presidente della Consulta e “saggio” di Napolitano, si è espresso a marzo con chiarezza sulla inapplicabilità della legge del 1957 all’azionista di maggioranza di Mediaset.
Niente da fare: il germe grillino ha messo solide radici fra le fila democratiche e la prova si è avuta nella giunta per le elezioni e le immunità del Senato. L’accordo per la presidenza al leghista Volpi era fatto, quando il Pd si è spaccato, quattro a favore e quattro contro l’intesa. Ala giustizialista alla Casson, contro l’ala ragionevole dei Violante e degli Orfini.
Per Berlusconi è allarme rosso: il timore è che il Pd frani sotto il proprio peso, e trascini il paese alle urne. Lo scenario è tale da incoraggiare i falchi del proprio schieramento, ma il Cavaliere per ora li tiene a bada, come dimostra il precipitoso ritiro della proposta di legge del senatore Luigi Compagna per dimezzare le pene per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il messaggio è quello di evitare di dare pretesti al Pd, ma di tenere sotto pressione il governo dal punto di vista del programma e delle cose da fare.
E in questa strategia è più chiaro il nuovo invito ad abolire l’Imu entro il mese di giugno. Dunque, se si andrà alle elezioni secondo i berluscones la responsabilità dovrà ricadere con chiarezza tutta sulle spalle dei democratici. Il gracile governo di Enrico Letta non ha altra scelta che rimboccarsi le maniche e cercare di inviare messaggi concreti, tanto alla società civile italiana, quanto ai partiti che lo sostengono. Un bell’aiuto potrebbe venire dall’Europa, tanto sul piano del rigore di bilancio, quanto di aiuto diretto sul un tema chiave come l’occupazione giovanile.
Sul piano interno il treno da far partire è quello delle riforme istituzionali, ma non sarà affatto facile. Il governo dovrà entrare in prima persona nella partita alla ricerca di un difficile punto di caduta fra idee estremamente distanti fra loro.
Se non ci saranno cose concrete di cui discutere, però, la maggioranza passerà i suoi giorni a dilaniarsi in sterili scontri sui massimi sistemi, berlusconismo contro antiberlusconismo, come accade da vent’anni a questa parte. E a perdere, insieme al tentativo del governo di servizio nazionale, sarà il paese. Oppure il vincitore potrebbe essere il movimento di Beppe Grillo.