Ci si aspettava un autunno caldo, ma la sensazione è che ormai siamo arrivati a una autentica resa dei conti sia sul piano internazionale sia su quello nazionale. Possiamo partire dal G20 cinese, con un documento finale che è solo una serie di dichiarazioni di intenti e, nella sostanza, il vertice mondiale dei Paesi più industrializzati si è chiuso con una gelida stretta di mano tra Obama e Putin, che di certo non appare risolutiva nel quotidiano massacro siriano-iracheno.
Per chi osservava la grande riunione da lontano, attraverso gli schermi televisivi che cercano sempre di risparmiare le verità più tristi, veniva proprio in mente il titolo dell’ultimo libro di Giulio Tremonti Mundus furiosus, a cui ha partecipato anche il suo autore, in questi ultimi 25 anni di economia finanziaria ultra-liberista e del famoso “mercato che va a posto da solo”.
Dal G20 arriva la notizia che la crescita economica è fragile. Che novità dopo nove anni! Che ci sono 65 milioni di migranti nel mondo. Non se n’era accorto nessuno! E che la terza guerra mondiale a pezzi continua. Ma va?
In questo quadro desolante, l’Europa sembra un nido di api impazzite, con i suoi leader che sono in grande difficoltà. Angela Merkel perde le elezioni in Meclemburgo e Pomerania, superata da un partito anti-euro e anti immigrati. Una sberla. François Hollande se lo sono dimenticati ormai quasi tutti. Resta uno dei politici più inutili del mondo. Infine il nostro Matteo Renzi, sempre carico di speranze, di entusiasmi e soprattutto alla ricerca di “flessibilità”, perché l’Italia che era ripartita (a suo parere) sta di nuovo frenando e battendo in testa come le vecchie Fiat prima della cura americana di Marchionne e del fisco olandese. Cambia nome, ma resta sempre la Fiat, nell’intimo imprenditoriale.
La sensazione è che questa Europa si sia infilata nell’orbita di un “buco nero” che la potrebbe assorbire e annientare, sotto il peso di una politica economica assurda e sempre priva di qualsiasi slancio ideale. Incredibile che dopo nove di politica di austerità non ci si renda conto che con queste ricette l’economia non riparte, che le diseguaglianze sociali si aggravano e che il piano politico e sociale sia sempre più instabile, anche se viene classificato secondo il gergo kominternista ormai di moda: populismo.
La risposta elettorale ai problemi politici e sociali può anche essere sbagliata. Ma occorrerebbe risalire, da una analisi storica precisa e non fantasiosa, alle cause di questa risposta a volte rancorosa e a volte addirittura rabbiosa.
Il viceministro all’Economia, Enrico Zanetti, si dilunga spesso sulle spesa italiana degli anni Ottanta. Ai tempi di Craxi il debito salì dal 60 all’85 per cento, ma l’inflazione che navigava al 14 per cento scese al 4 per cento. La crescita si mantenne sempre al più 2 per cento e la pressione fiscale oscillava tra il 30 e 35 per cento.
Cattivi insegnamenti? Si stava così male? Perché Zanetti non si cura della sua decrescita costante e permanente, della deflazione e di un debito che è al 133 per cento? Ma forse Zanetti è l’attendente del “Bava Beccaris dell’austerity”, il senatore a vita Mario Monti, autentica sentinella del rigore tedesco che si sta trasformando inrigor mortis per l’economia italiana e non solo. Tra un po’ rispunteranno le responsabilità anche di Francesco Crispi con la sua pessima avventura coloniale.
Ma il vero problema, forse, è che, all’inizio degli anni Novanta, nel momento in cui la finanza ha esautorato la politica nelle grandi scelte economiche, ci si è avviati lentamente, come molti sostenevano, verso la più grave crisi economica della storia recente. Esautorati i partiti democratici in Italia, avviata una svendita dissennata dell’impresa pubblica, innestata la cultura della società per azioni nelle banche commerciali, il grande gioco finanziario ha colpito nel segno.
Il refrain dell’anti-casta, dell’anti-politica è stato un ottimo specchietto per le allodole. Al posto di partiti strutturati, storici e riformabili, sono sopravvissuti “sconfitti dalla storia” inutili, innocui, e sono sorti movimenti tra i più stravaganti. Il dibattito sull’anti-politica non è diverso, in molti aspetti, da quello che avvenne in Italia negli anni Venti e in Germania negli anni Trenta. Fortunatamente per ora, le forze che emersero in quel tempo non sono ricomparse. E anche il contesto complessivo appare differente.
In Italia ad esempio c’è un tripolarismo grottesco: reduci e nostalgici di Pci e Dc, i partiti che andarono in crisi alla fine degli anni Settanta; pentastellati che riescono a pasticciare persino in Campidoglio, a Parma e a Livorno all’ombra di un comico: gruppi di sedicente centrodestra non meglio identificabili. Un guazzabuglio che non può durare a lungo e che alla fine, inevitabilmente, porterà a una resa dei conti non meglio identificata. Al momento.
E a livello internazionale, non sarà tanto diverso il clima da quello italiano.