Quando si affronta il tema delle società pubbliche solitamente ci si riferisce a concetti quali “privatizzazione” e “liberalizzazione”, spesso invocati quali soluzioni alle inefficienze e alla cattiva gestione delle aziende o società che gestiscono i servizi pubblici locali.
Ci si chiede perché a livello centrale, nel corso degli ultimi decenni, si sono privatizzate molti enti o società pubblici, mentre in periferia è così difficile sia privatizzare che liberalizzare i servizi pubblici. Sarebbe questa difficoltà, ad aprire il mercato dei servizi pubblici locali, all’origine del cosiddetto “socialismo municipale”, inteso come la presenza pervasiva degli enti pubblici territoriali nel mercato dei servizi di pubblica utilità. Questi servizi, oggi, rispondono ad esigenze crescenti e nuove da parte degli utenti, in termini di qualità, diffusione, prezzi e controllo dei risultati.
Occorre, in primis, valutare quale debba essere il ruolo degli enti pubblici e, conseguentemente, anche delle società da essi partecipate o controllate e, in secondo luogo, rifuggire dalla tentazione di considerare la forma giuridico-organizzativa (rectius: società) per sè quale panacea dei mali che affliggono il sistema dei servizi pubblici.
In argomento, la distribuzione di competenze tra Stato e Regioni può offrire interessanti spazi di innovazione legislativa e di sperimentazione gestionale. Si tratta, pertanto, di introdurre in un settore ad altissima vocazione pubblica, nel senso di collettiva, con la cautela e l’attenzione che il tema richiede, forme di integrazione e di partnership, che contribuiscano a superare la rigida e storica contrapposizione tra pubblico e privato.
Liberalizzazione significa innanzitutto definire un assetto di sistema capace di assicurare l’erogazione dei servizi di pubblica utilità in condizioni di possibilità e libertà di accesso per tutti. Progressivamente, agli enti pubblici dovrebbe essere attribuita una più marcata funzione “pubblica” di controllo e di monitoraggio, finanche di intervento quando le organizzazioni, imprese e/o settore non profit, non sono in grado di attivarsi. Allo stesso tempo, così come richiamato insistentemente da parte delle istituzioni comunitarie, maggiore spazio dovrebbe essere lasciato, in specie a livello locale, ad una rinnovata capacità di programmazione e di costruzione di partnerships istituzionali (il cosiddetto PPPs).
In una siffatta logica virtuosa, il socialismo municipale potrebbe assumere le fattezze di un “municipalismo sociale”, la cui preoccupazione principe sia di rispondere ai bisogni della comunità locale. Le soluzioni gestionali ed organizzative conseguono.