L’Italia porta a casa un buon risultato dopo il vertice europeo. Su questo punto ha ragione Mario Monti di essere soddisfatto, perché nell’abbattimento progressivo (un ventesimo all’anno) dello stock di debito, ora i fattori rilevanti vengono riconosciuti e hanno un peso. Ma il quadro complessivo dell’Europa, della governance europea, dell’asse “di fatto” franco-tedesco che esce dal vertice non promette orizzonti sereni. Il Professor Marco Fortis, economista, vicepresidente della Fondazione Edison pensa che i paesi europei «stanno sulla graticola».
Professore, ci si chiede a quante velocità giri l’Europa. Venticinque Paesi firmano il “Fiscal compact”, Gran Bretagna e Repubblica Ceca no. La dichiarazione conclusiva la firmano tutti, ma non la Svezia. E poi c’è la Polonia che reclama più presenza e la Francia che si oppone. A vedere dall’esterno, la situazione sembra ancora molto confusa.
Prevale la confusione, non c’è dubbio. Questo asse “di fatto” franco-tedesco appare troppo debole e la situazione resta in stand by, con dei rischi per tutti. Intanto c’è questa prospettiva che per parecchi mesi si rimanga non solo in una situazione di incertezza, ma anche di oggettiva difficoltà.
Però al tavolo delle trattative, l’Italia ne è uscita bene. Monti ha fatto capire che alcuni paesi, come il nostro, in questo momento non possono sopportare altri sacrifici, questo plumbeo rigore. I fattori rilevanti incidono sulla riduzione progressiva del debito.
In questo senso, il Presidente del consiglio italiano ha tenuto duro e ha difeso bene la sua linea. Oggi i fattori rilevanti, come la patrimonializzazione delle famiglie e la situazione di recessione verranno presi nella dovuta considerazione. Ma il problema è che questo rigore tedesco lascia sempre l’Europa in una situazione di attendismo confuso. Ai tedeschi va bene, perché di fatto stanno “vampirizzando” gli altri paesi europei. Basti pensare che, nonostante i miglioramenti e i sacrifici fatti dagli italiani, il nostro spread e i rendimenti dei nostri titoli sono ancora alti. E naturalmente questo fa affluire capitali in Germania, con la continua sottoscrizione di Bund.
Questa politica del rigore è indubbiamente nel dna dei tedeschi, ma fa anche il loro gioco.
È questo che si sta vedendo. È questo che abbiamo sotto gli occhi. È probabile che l’Europa stia pagando le scadenze elettorali di quest’anno. Arrivano prima le elezioni francesi di quelle tedesche. Era probabilmente meglio che accadesse il contrario. Però i tedeschi, in nome di questa politica del rigore, sembrano non rendersi conto che i consumi sono calati in tutti i paesi europei, compresa la Germania. Anche loro hanno il problema di difendere mille miliardi di euro di export. Che però va soprattutto nei paesi dell’eurozona.
Che cosa c’è di più debole in questo accordo che esce dal vertice europeo?
C’è indubbiamente la debolezza del Fondo di stabilità. Lo hanno sottolineato in molti e anch’io sono d’accordo su questa valutazione. In definitiva, lo si capisce, l’Europa non riesce a dare corpo e reale consistenza a questo fondo. Non è un autentico firewall. A livello europeo, finora, le manovre migliori le ha fatto il presidente della Bce, Mario Draghi, con un ampio uso di operazioni, nei limiti delle sue possibilità e competenze, che hanno dato respiro. Quando ci sono paesi in difficoltà è evidente che poi ci sono degli interstizi dove la speculazione si infila facilmente.
In questo momento poi la situazione di alcuni paesi europei sta diventando sempre più difficile.
Ho trovato di pessimo gusto il diktat alla Grecia lanciato prima del vertice. Non riesco a comprendere come si possa infierire su dieci milioni di abitanti ridotti in questo modo, con un’economia che ricorda ormai quella del tempo dei colonnelli. La Grecia è in stato comatoso, il Portogallo è in una situazione precomatosa. Poi ci sono due malati potenziali, come Italia e Spagna. Tutto questo dovrebbe portare a decisioni rapide, a controbilanciare il rigore delle politiche di bilancio con misure per la crescita. Invece, si resta in stand by e si rischia di rimanere in questa condizione per lungo tempo. Alla fine è evidente che quando si pensa all’Europa nel suo complesso viene in mente un quadro desolante.
(Gianluigi Da Rold)