Ieri il Consiglio di amministrazione della Fiat a Torino ha approvato in via definitiva il bilancio consolidato del Lingotto per l’anno 2012, confermando le cifre presentate lo scorso 30 gennaio a Grugliasco. Fiat ha battuto le attese degli analisti e ha chiuso il bilancio 2012 con utili per 1,4 miliardi di euro. Rispetto al 2011 (che includeva Chrysler soltanto dal primo giugno) il calo è del 14,5%, ma supera il consensus di mercato che stimava un risultato di 1,3 miliardi. L’utile della gestione ordinaria si è attestato a 3,8 miliardi (+18% sul 2011 pro forma), su ricavi per 84 miliardi (+12%). Come non è difficile immaginare, l’utile è imputabile interamente a Chrysler, che nel 2012 ha guadagnato 2,4 miliardi, mentre Fiat al netto della controllata Usa perde un miliardo.
Fin qui nulla di eclatante, Fiat non vende e beneficia unicamente del traino di Chrysler sul mercato Usa. Ma il cda del Lingotto ha anche deliberato l’emissione di uno o più prestiti obbligazionari per un ammontare complessivo fino a 5 miliardi di euro – o importo equivalente in altra divisa – da collocarsi presso investitori istituzionali. Di più, i prestiti obbligazionari potranno essere emessi, in una o più tranche, anche attraverso società controllate e con garanzia di Fiat S.p.A., entro il 31 dicembre 2014, subordinatamente alle condizioni del mercato. Ora, qualcosa non torna. Sempre stando alle cifre presentate dal Lingotto, la liquidità disponibile, incluse linee di credito non utilizzate per 2,9 miliardi, si attesta a 20,8 miliardi (20,7 a fine 2011), di cui 11,1 relativi a Fiat (12,3) e 9,8 per Chrysler (8,4).
Ora, se la sola Fiat può contare su 11 miliardi di euro di liquidità, a cosa diavolo servono – in questo momento poi – emissioni obbligazionarie, oltretutto con l’ipotesi di denominazione in valuta estera? Mistero. È vero che l’obbligazionario corporate sta conoscendo una fase di rivalutazione, anche grazie alla messe di liquidità in circolo grazie alle banche centrali e all’azionario già in overshooting, ma, per farvi un esempio, un gigante come Coca Cola lo scorso luglio ha emesso un bond in euro a sette anni ma per un ammontare totale di 350 milioni, qui si parla di un valore massimo di 5 miliardi e con il rischio sul cambio. Tanto più che il nodo del livello di liquidità da mantenere elevato è stato determinante nella decisione del cda di non proporre la distribuzione del dividendo, oltre alle restrizioni alla possibilità di Chrysler di distribuire dividendi ai propri soci.
Sempre restando alla posizione finanziaria, il gruppo Fiat ha chiuso il 2012 con un indebitamento netto industriale di 6,5 miliardi, in aumento di un miliardo rispetto a 5,5 di fine 2011, mentre per Chrysler si è registrato un flusso di cassa positivo per 1,6 miliardi, il quale ha consentito di ridurre l’indebitamento netto industriale a 1,5 miliardi, pur a fronte di investimenti pari a 4,3 miliardi. Insomma, è solo Chrysler a tirare avanti la baracca. D’altronde, nessuno in casa Fiat lo ha mai negato, fin dal principio dell’avventura americana. Alla fine del 2011, rivolgendosi agli azionisti, il Presidente del gruppo, John Elkann, celebrò infatti i risultati dell’azienda tra cui il raddoppio dell’utile della gestione ordinaria, ma questo risultato era attribuibile esclusivamente all’ingresso di Chrysler nei libri contabili, mentre rispetto al 2010 il dato della sola Fiat risultava addirittura peggiore. In compenso, Fiat riuscì a raddoppiare l’utile operativo, passato dal miliardo scarso del 2010 ai 2.136 milioni del 2011. Voce, quest’ultima, che comprende però altre cifre, come ad esempio gli accantonamenti, ovvero fondi messi da parte e che in quanto tali vanno a pesare negativamente.
Insomma, il Lingotto aveva scelto di spostare i suoi fondi di riserva nel conto economico calcolandoli come proventi, strategia contabile che fruttava allora oltre 1 miliardo di euro. In sintesi, un modo – assolutamente lecito – per gonfiare i risultati e apparire più forti in un momento chiave come quello dell’acquisizione. Ma come si fa, nel medio periodo, a mantenere quei numeri? Si rischia, visto che qualche imprevisto nella vita, anche delle industrie, può sempre accadere e in quel caso occorre trovare i fondi, spesso e volentieri dall’utile operativo. Peccato che, una volta fatto questo, il bilancio successivo ne risente e il giochino è svelato. A meno che non si ricorra invece al finanziamento tramite emissione obbligazionaria in cerca di liquidità, nonostante l’enorme ammontare su cui dovrebbe poter contare Fiat già oggi. Insomma, la dipendenza totale di Fiat dalla sorella a stelle e strisce è sempre più chiara, segnale che chi teme una progressiva americanizzazione del Lingotto, il famoso addio di Fiat all’Italia, forse non sbaglia troppo i suoi calcoli.
All’inizio del 2012, il mercato europeo dell’auto scontava volumi di vendita appena poco superiori a quelli registrati nel momento di massima crisi, alla fine del 2008. Tra il 2007 e il 2012 le vendite nel mercato tedesco sono aumentate del 6,6%, in Francia sono diminuite di poco (-2,6%), in Italia sono letteralmente crollate (-44%). Detto fatto, le case produttrici tedesche hanno conquistato quote di mercato in Europa avvicinandosi addirittura al 35%, soprattutto in Italia e Spagna. Nel 2010 le vendite Fiat in Europa sono calate del 17%, nel 2011 del 12% e nei primi 8 mesi del 2012, la quota di mercato europeo del Lingotto si collocava già al 6,5% contro l’8,8% del 2009. Stando a dati dell’Acea, l’associazione dei produttori automobilistici europei, nel mese di gennaio di quest’anno le vendite di auto di Fiat Group Automobiles in Europa (27 paesi Ue più l’Efta) sono scese ulteriormente del 12,4% a 61.010 unità, contro le 69.069 del gennaio 2012.
Insomma, chiamiamola pure – e già da subito – Chrysler. Come poi il mercato americano stia conoscendo il proprio boom ve l’ho già spiegato, attraverso gli car-loans subprime, ovvero credito al consumo a chiunque, qualsiasi sia il suo rating di credito, ovvero la possibilità di onorare scadenze e pagamenti. Mi ricorda qualcosa, una bolla che quando è esplosa ha fatto rumore. Il problema è che negli Usa il governo è già intervenuto in difesa dell’industria automobilistica e penso sarà pronto a farlo ancora, in Francia pure, mentre qui appare difficile. Ancora qualche dubbio sulla futura – anzi molto prossima – americanità di Fiat?