Primo gennaio 2012, dopo il discorso del Presidente Napolitano e dopo la chiamata di Monti ai sindacati.
Siamo tornati un Paese di sinistra. Infatti l’anno inizia con la centralità della contrattazione, con i sindacati riproposti come “l’altra metà del potere”. Nella cultura liberale, che costituiva il centrodestra, maggioranza elettorale, diventata minoranza della classe dirigente, i sindacati erano lasciati al libero rapporto con gli imprenditori.
Ora siamo tornati un paese di sinistra perché la politica decide l’equilibrio fra imprenditori e sindacati.
Questa è una opzione culturale diversa, tendenzialmente socialista. Per noi cattolici, preoccupati della mancanza di comunitarismo nella cultura liberale, si riapre il problema della scelta di campo. Quella centralità della mediazione politica, realizzata sotto pressione del Presidente Napolitano, è un ritorno alle rigidità dello statalismo.
Ma prima di preoccuparci di questo dobbiamo considerare le conseguenze dell’interventismo politico del Presidente della Repubblica: la via rivoluzionaria al socialismo, metodo per imporre uno schema culturale a una realtà sociale non consenziente, è stata trasformata in una via massonica di imposizione del progetto della elite contro il consenso maggioritario.
Di questo ci dobbiamo preoccupare. È vero che avevamo un fallimento della politica che ha costretto il Paese a farsi governare temporaneamente dai tecnici. Ma il presupposto era quello di non fare politica, ovvero di lasciare immutate le relazioni fra le parti. Ma qualcuno spinge metodicamente al decisionismo politico, continuando a dire che bisogna cambiare di più.
Per noi cattolici il metodo massonico non va bene, non c’è comunitarismo nelle decisioni stataliste. Abbiamo un bisogno imprescindibile: la rinascita della politica dal basso. Solo così si afferma il volto reale della vita di popolo, il fare assieme che è la vera positività del reale.
Nella vita dei sindacati italiani era intervenuta la forte provocazione di Marchionne, che fonda il rapporto con i sindacati dentro le ragioni aziendali. Ora la trattativa con Monti diventa la salvaguardia delle ragioni di principio dei sindacati.
Noi cattolici abbiamo il massimo interesse per le ragioni dei lavoratori e delle loro associazioni, ma non abbiamo interesse a un sindacalismo che si cura più dei diritti dell’apparato sindacale che dei diritti del buon salario dei lavoratori. Noi chiediamo ai sindacati di fare proposte per il rilancio dell’economia, tenendo conto dei grandi fenomeni prodotti dalla globalizzazione. La produzione nei singoli paesi, particolarmente in quei paesi che non si fondano più sulla prevalenza della produzione industriale, è ritornata ad essere produzione creativa e di qualità, realizzata da imprese che hanno all’interno un comunitarismo effettivo, ovvero un fare assieme di tutti i collaboratori dell’impresa.
Mi sbilancio nella presunzione: chiedo al Presidente del Consiglio, Monti, di non farsi attrarre dalla logica massonica, logica che non funziona se si vuole riconquistare l’impegno di tutti per uscite dalla crisi. Dunque non cerchi, nel confronto con i sindacati, lo stabilirsi di un accordo globale sulle regole. Piuttosto non cambi le regole, ma riaffermi il libero confronto fra lavoratori e imprese.
Mentre chiedo a tutti coloro che credono nella necessità di ricostruire la politica nel nostro Paese, di ripartire dalla consapevolezza di popolo. Politica dal basso, ristabilire la capacità diffusa di giudicare quel che accade, fare cultura con dibattito aperto, sino a rimettere la coscienza di popolo in rapporto con la realtà di quel che accade.