Nel fine settimana Sergio Marchionne ha ribadito che la soluzione proposta da Fiat per Opel è quella giusta per entrambi ed è la più coerente dal punto di vista industriale. In Germania nel frattempo non mostra segni di cedimento il fronte “anti Fiat”, che vede in prima fila la stessa casa di Ruesselsheim, i sindacati e i socialdemocratici. Come si risolverà la partita, in altre parole, è ancora tutto da vedere. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Enrico Cisnetto, editorialista. Secondo il quale c’è ancora un punto da chiarire: quello dei soldi necessari per attuare il piano industriale.
Cisnetto, quali sono, a suo avviso, le probabilità di successo dell’operazione Fiat in Germania?
Dipende tutto da come si muoverà il mondo politico tedesco. Un mondo condizionato dai sindacati e dunque molto meno pragmatico di quello statunitense, dove le “unions”, che pure sono famose per la loro rocciosità, hanno mostrato una grande apertura entrando in Chrysler da azionisti e assicurando la pace sociale fino al 2015.
Marchionne ha ribadito di voler realizzare accordi strategici – prima su Chrysler, poi su Opel – a costo zero. Mettere in atto un piano industriale richiede però capitali sulla cui disponibilità si stanno interrogando un po’ tutti. Fiat dove troverà i soldi?
Questo è il grande interrogativo. Purtroppo, man mano che passa il tempo, diventa sempre più profetica la domanda del pur vituperato commissario Ue Verheugen, che quando la campagna acquisti di Marchionne si è messa in movimento, aveva chiesto dove Torino trovasse i soldi per fare questa mega-operazione. Una domanda che magari non avrà denotato classe, ma certo non appariva priva di fondamento. E che rimane inevasa. Soprattutto perché, nel frattempo, la posta in gioco è cresciuta ancora: da una parte, con una Fiat che per salire dal 20% al 35% di Chrysler dovrà ripagare i 2,2 miliardi di dollari di esposizione dell’azienda Usa; dall’altra, con i nuovi impegni che Marchionne si sta assumendo, visto che in un colloquio con l’Economist ha confidato di aver fatto una promessa un po’ inquietante: “Ho detto al Governo tedesco che m’impegno a ripagare tutti i debiti di Opel”. Con quali soldi, ancora una volta?
Tutto questo, senza nulla togliere al valore dell’operazione?
Naturalmente. Sia chiaro, nessuno vuole “gufare” sul progetto di uno dei pochi manager di livello internazionale di cui ci possiamo vantare. Eppure, è chiaro a tutti che una crescita infinita a costo zero è impensabile. Soprattutto perché la stessa Fiat non se la passa esattamente bene dal punto di vista finanziario. Vero è che Intesa e Unicredit hanno più volte confermato a Torino il loro sostegno. Vero anche, però, che con le conseguenze della crisi Marchionne ha faticato non poco a ottenere a febbraio una nuova linea di credito da un miliardo erogata da un pool di istituti guidati proprio dalle due banche.
E si trattava comunque di un risultato al ribasso…
Sì: nelle settimane precedenti, infatti, si era parlato di un prestito di cinque miliardi, poi di tre miliardi per arrivare, infine, a quota un miliardo. Che porta comunque l’indebitamento netto delle attività industriali di Fiat a quota 6 miliardi nell’ultimo trimestre. Una cifra pesante, che aumenta la perplessità su quella “crescita infinita” che sembra essere nei piani ambiziosi di Marchionne. Tanto più che la agnelliana Exor, nonostante la buona liquidità in cassa, ha fatto sapere già di non essere interessata a investire altri quattrini nel business dell’auto.
Cosa potrebbe succedere, dunque, che gli Agnelli escono da Fiat Auto?
Direi che è cosa da considerare, se non proprio certa, sicuramente probabile. La soluzione che si profila, infatti, dovrebbe essere quella di uno spin off di Fiat Auto dal resto di Fiat, cioè Iveco (camion) e Cnh (trattori). Un’ipotesi che finora gli Agnelli-Elkann non avevano mai voluto prendere in considerazione, ma che adesso potrebbe verificarsi con lo scorporo delle attività automobilistiche in una newco da quotare a parte, che comprenderebbe anche le quote di Chrysler e General Motors Europa, Sudamerica e Sudafrica (da notare che per le ultime due, Marchionne ha detto di “non voler scucire un euro”). A questo punto, ci si domanda quanto rimarrà della nuova “Fiat World” in mano alla dinastia torinese. Si pensa a un 10%, forse anche meno. La verità si saprà probabilmente il prossimo 20 maggio, quando si riunirà l’accomandita di famiglia.
Quella quota, destinata ad essere messa sul mercato successivamente, non comporterà più un ruolo di azionista di riferimento.
Poco male, visto che la dinastia era ormai finita con la scomparsa di Gianni e Umberto Agnelli. Ma bisogna capire cosa questo significhi per l’Italia, per il nostro già flebile capitalismo. Se l’operazione va in porto e noi la prendiamo per il verso giusto, cioè evitiamo di difendere stabilimenti decotti solo perché danno un po’ di effimera e improduttiva occupazione, allora significherebbe dotarsi di un’importante partecipazione in un colosso multinazionale. E sarebbe non poco, per un Paese in cui la dimensione media delle imprese è ancora al 99% quella mini o micro dell’azienda familiare. Se invece alzeremo barricate nazionalistiche, non avremo né la Fiat attuale – che non ha molto futuro – né quella che vorrebbe costruire Marchionne.
Il “nodo” General Motors è complesso: la situazione di Gm è grave, dovrà chiedere al governo Usa altri fondi, al tempo stesso chiede a Fiat il 30% della nuova società ma proprio la cessione degli asset europei di Gm potrebbe essere al centro di un tentativo di risanamento…. Secondo lei quali sviluppi sono possibili?
Lo scenario che io vedo è quello di un “grande Iri mondiale dell’auto”. Alla fine, gli unici a credere veramente in questo maxi salvataggio, e a metterci i soldi sono i governi, magari con la sponda di sindacati che sappiano essere meno conservatori di altri. Per riportare a galla Chrysler il governo Usa ha già messo sul piatto finanziamenti per circa 10 miliardi di dollari. Berlino per la Opel ha messo a disposizione 7 miliardi di euro. Adesso, potrebbero arrivare altri contributi per gli asset non europei di Gm. Se va in porto il suo piano, Marchionne si ritroverebbe così alla testa di un colosso internazionale da 100 miliardi di dollari di fatturato annuo. Ma a stragrande maggioranza pubblica. Il che, per chi come me non è mai stato un fanatico del liberismo scolastico, non rappresenta necessariamente uno stigma, sia ben chiaro. Semmai, è un fatto che apre nuovi interrogativi e scenari ancor più imprevedibili.
Già in passato alcuni tentativi di integrazione tra case automobilistiche – vedi Daimler e Chrysler o la stessa Fiat e Gm – sono naufragati. Questa volta potrebbe andare diversamente?
Se vogliamo essere fiscali, l’unica grande alleanza-fusione che abbia avuto successo nel mondo dell’auto è quella tra Renault e Nissan, opera di quel Carlos Ghosn che non a caso è considerato il “guru” cui si ispira lo stesso Marchionne. Le altre – Daimler-Chrysler in testa – sono più che altro ricordate come case history di come si brucia valore. Va detto però che tutte queste operazioni risalgono a un’epoca pre-crisi. Una crisi che ha cambiato completamente le regole del gioco. Se si sono nazionalizzate le banche, se le banche d’affari semplicemente non esistono più, se la Casa Bianca diventa statalista… forse allora anche il mondo dell’auto ha l’obbligo di provare qualche soluzione inedita.
In quale posizione si troverà l’Italia nel nuovo assetto che si va delineando? In altre parole, i timori dei lavoratori Fiat sono fondati?
Questo è il grande punto dolente della strategia Marchionne. Che deve fare i conti con un mondo – quello dell’auto – malato di sovrapproduzione. Ma soprattutto, paradossalmente, che rischia di avere successo su scala globale ma di cadere per le ricadute politico-sociali proprio qui in Italia, dove la chiusura di stabilimenti e un’ondata di licenziamenti di massa non verrebbero tollerati dal Governo.
A suo avviso qual è la portata di questa operazione – al di là del suo esito, per quel che è dato capire – per il settore industriale italiano?
Credo che Fiat farà, con molti anni di ritardo, quello che doveva fare già in passato: internazionalizzarsi, ampliare la propria scala dimensionale per competere a livello globale con gli altri player del settore. Speriamo che Marchionne riesca.