La coalizione c’è, la vittoria è a portata di mano, per il resto si vedrà. I giochi sono praticamente fatti per il centrodestra, trovato l’accordo con la “quarta gamba” centrista, e il pensiero corre già a quel che potrà accadere dopo il 4 marzo.
Certo, c’è ancora il complicato puzzle delle candidature nei collegi uninominali da chiudere, ma il grosso del lavoro politico è fatto, e sta per cominciare la fase della propaganda politica pura, quella in cui Silvio Berlusconi rimane un maestro ineguagliato e ineguagliabile.
Il difficile verrà dopo il 5 marzo, e tutto dipenderà da numeri che oggi è difficilissimo prevedere. Sui giornali si sprecano sondaggi e simulazioni della ripartizione dei voti, ma in realtà nessuno può dire con certezza come andranno le cose, essendo il meccanismo elettorale una novità assoluta, e per di più basato su circoscrizioni elettorali nuove di zecca, nei quali è difficilissimo pronosticare con precisione l’esito della contesa. Mente chi sbandiera il contrario spesso dimentica che le Camere sono due e che un governo necessita per nascere della fiducia tanto dell’assemblea di Montecitorio quanto di quella di Palazzo Madama. E della composizione possibile del futuro Senato si occupano davvero in pochi.
Visto che a livello nazionale tutti i sondaggi concordano nell’indicare il centrodestra nel suo complesso in netto vantaggio con un 36-38 per cento, e con una decina di punti di distacco su centrosinistra e 5 Stelle praticamente appaiati, gli scenari che si aprono sono sostanzialmente due, che sia raggiunta o no la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento.
Il meno probabile fra i due scenari sembrerebbe oggi quello di una maggioranza autonoma in entrambi i rami del parlamento. Per il centrodestra il difficile verrà allora, visto che in quel caso verrà meno quel formidabile collante che si chiama potere. Inevitabile che in quel caso vengano allo scoperto tutti i punti deboli di una coalizione che è tale esclusivamente sulla carta. Berlusconi, Salvini, la Meloni e il rassemblement guidato da Cesa sembrano divisi su tutto. Primo punto la premiership. Salvini continua (sin dal simbolo del suo partito) a ritenersi in corsa per Palazzo Chigi, ma né Forza Italia né i centristi sono disposti a dargli strada, specie se la Lega non sarà il partito più votato del centrodestra. E la scelta del nome da fare a Mattarella sarebbe un momento delicato e doloroso. Circolano le ipotesi di Antonio Tajani e di Franco Frattini, ma ogni ipotesi è buona, anche perché Berlusconi ha lasciato chiaramente intendere di non aver perso del tutto le speranze di tornare lui a Palazzo Chigi nel caso arrivi la tanto sospirata riabilitazione da parte della Corte Europea dei diritti umani.
Ammesso che il centrodestra non si spacchi sul nome da indicare per la guida del governo, un altro nodo verrebbe subito al pettine: le abissali distanze programmatiche fra le quattro forze della coalizione. I dieci punti del programma appena sottoscritti sembrano più una pietosa toppa che un vero patto politico. Dalla Legge Fornero che Salvini vorrebbe abolire, alle case chiuse da riaprire (o meno), dai vaccini all’atteggiamento da tenere verso l’Europa, troppi sembrano i punti di frizione per immaginare un’agevole azione di governo. Si pensi anche al diverso modo di affrontare il tema della flat tax fra Salvini e Berlusconi: quella del leader di Forza Italia sembra più un’adesione di facciata che un sincero sostegno a un progetto che — se davvero attuato — scardinerebbe dalle fondamenta il sistema fiscale del nostro paese.
Non meno burrascoso appare il cielo del centrodestra nell’ipotesi di una vittoria di Pirro: un bottino di seggi cospicuo, ma lontano dalla maggioranza assoluta. Viste anche le divergenze programmatiche, in questo caso sarebbe quasi inevitabile che ciascuna delle formazioni finisca per riprendere la propria autonomia, perseguendo disegni politici che potrebbero essere opposti. Tutto dipenderà dai numeri reali che conosceremo solo la mattina del 5 marzo. Solo allora vedremo se vi saranno i numeri per uno scenario di larghe intese che veda insieme Forza Italia con Pd, centristi e — D’Alema ha lasciato intendere di non escluderlo del tutto — anche Liberi e uguali.
Lo schema opposto vede un sostegno leghista (e di Fratelli d’Italia) a un esecutivo a guida 5 Stelle, magari anche qui con un aiutino di Grasso e soci. Improbabile, vista la virulenza delle polemiche, che a mettersi insieme possano essere democratici e grillini, schema che costituirebbe una clamorosa beffa per il centrodestra, che si vedrebbe estromesso dalla stanza dei bottoni dopo quella che diverrebbe la più amara e inutile delle vittorie.
Dalla mattina del 5 marzo sarà Mattarella a prendere in mano la partita, e il pallottoliere dei seggi veri sarà decisivo. Per tutto il mondo politico, ma per il centrodestra in particolare, sa quello il momento della verità.