L’articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola
Ci sono due modi di guardare allo scontro che resta aperto tra l’impostazione data sui tagli alle Regioni dal ministero dell’Economia. La prima, quella dei numeri. La seconda, quella squisitamente politica.
Nel merito, la manovra taglia circa 4,4 miliardi l’anno alle Regioni ordinarie individuando di preciso dove, e cioè Regione per Regione in ciascuna delle voci che corrispondono alle competenze non prioritarie, le cosiddette “Bassanini”: trasporto locale, ambiente, sostegno alle imprese, turismo, eccetera. Competenze che si differenziano da quelle relative a sanità, assistenza e formazione che delle Regioni sono le competenze primarie.
Di conseguenza, prendendo alla lettera il testo originale della manovra come uscita dal ministero e approdata in Parlamento, ancora ben dopo la protesta guidata da Vasco Errani e Roberto Formigoni, quando il ministero ha cominciato a far scrivere dai giornali che le Regioni si opponevano a tagli pari a un mero 3% del totale della loro spesa, la cifra rappresentava una forzatura bella e buona. Perché rispetto alle competenze individuate con precisione dal governo i tagli erano del 13%. Una cifra che spiega l’entità e la forza delle proteste dei governatori.
Col paradosso che a subire i tagli più incisivi erano le Regioni più virtuose come appunto la Lombardia, che nel trasporto locale vedeva i trasferimenti dal centro diminuire di colpo nell’ordine del 30%. Il ministero se n’è reso conto. Ma non lo ha ammesso. È nato così l’emendamento per il quale le Regioni hanno fino a ottobre di tempo per ridistribuirsi tra loro il saldo, come se fosse possibile immaginare i governatori del Centro-Sud già sottoposti ai programmi di rientro coatto del debito pregresso addossarsi volontariamente tagli aggiuntivi per venire incontro alle Regioni virtuose.
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Resisi conto anche di questo, ecco la linea del Piave tracciata al ministero: le tabelle coi tagli alle competenze Bassanini sono solo indicative, ogni Regione in assenza di riequilibri a parità di saldo complessivo nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni resta inchiodata ai tagli indicati in origine, ma con ampia libertà di modularli sul proprio intero bilancio. Cioè sulla sanità, per arrivare alla voce che da sola pesa oltre il 70% della spesa regionale complessiva, coi suoi 115 miliardi di euro.
Il paradosso del paradosso, a quel punto, è che chi ha saputo orientare il proprio modello sanitario secondo parametri di maggior virtù – basso costo degli acquisti di prodotti e servizi, per una buona e talora ottima qualità dell’offerta al cittadino – e addirittura registra un utile nel settore, come la Lombardia, dovrebbe andare in passivo e accostarsi invece a chi ha più potentemente contribuito a far lievitare la spesa sanitaria nazionale del 47% complessivo nei soli anni dal 2001 al 2010. Tutto questo, mentre ai Comuni si offriva subito il decreto entro fine luglio per gettare le basi della nuova imposta sui servizi immobiliari che sarà alla base dell’autonomia impositiva municipale, con un gettito nell’ordine dei 25 miliardi di euro.
E alle Regioni virtuose, invece, per quanto riguarda il federalismo fiscale in sanità si diceva che dovranno aspettare ancora tempo, perché per i parametri dei costi standard bisognerà scomodare la Sose (la società che si occupa degli studi di settore) per elaborarli. È questo il motivo per il quale l’Anci ha accettato i tagli, a differenza di Errani e Formigoni.
Ti credo che è stato più ragionevole, ai Comuni il governo ha dato ciò che chiedevano: basi certe per la propria finanza negli anni a venire. Alle Regioni, no. C’è un’unica ragione per cui tutto ciò è avvenuto. E lo dico io, che pure vorrei la spesa pubblica nazionale e regionale duramente tagliata per avere meno tasse. La ragione non è la guida della Conferenza Stato-Regioni a Errani che è del Pd. È invece la guida della Lombardia, la Regione più virtuosa tra tutte, nelle mani di Formigoni.
Una leadership che a questo punto al centrodestra nazionale – e non voglio avventurarmi nelle chiacchiere del rapporto altalenante tra Berlusconi e Tremonti e la Lega – sembra stare improvvisamente molto stretta. Non ditemi poi che non ve l’avevo detto, prima ancora delle regionali, che era tempo di organizzare al di là dei confini regionali il movimento che da quattro legislature lombarde si riconosce nell’esperienza di Formigoni. I fatti mi sembra diano ragione a quella necessità.