Nel discorso a Cesena del 1° ottobre 2017, il Papa ha definito la “piazza” come luogo di incontro tra i cittadini “dove le aspirazioni dei singoli si confrontano con le esigenze, le aspettative e i sogni dell’intera cittadinanza; dove i gruppi particolari prendono coscienza che i loro desideri vanno armonizzati con quelli della collettività, [dove] si impasta il bene comune di tutti, qui si lavora per il bene comune di tutti. Questa armonizzazione dei desideri propri con quelli della comunità fa il bene comune“.
Per poter “impastare” i propri desideri con quelli della collettività, occorre, per dirla molto banalmente, avere uno sguardo che vada al di là del proprio ombelico. Sembra un’ovvietà, ma viviamo in un’epoca dove non esiste altro che il vortice provvisorio delle proprie voglie, emozioni e aspirazioni individuali, spesso strenuamente affermate e difese al di là di ogni evidenza: andare oltre alle proprie fluttuazioni emotive, ai propri pensieri e alle proprie immaginazioni è nella natura dell’uomo ed è il presupposto anche della convivenza, della società, in sintesi della politica. Partire da questo punto di vista costringerebbe il politico anche in campagna elettorale a un sano realismo nel presentare i futuri programmi, pur essendo comprensibile lasciarsi andare a una certa enfasi, che trova espressione nelle tradizionali “promesse elettorali”.
Uno sguardo ai programmi elettorali mostra una certa equivalenza per lo meno nel modo di presentare le cose, offrendo uno spaccato piuttosto desolante. Prendiamo ad esempio due cavalli di battaglia della propaganda elettorale: tasse e pensioni.
Parlare di riduzione dell’imposizione fiscale è quasi un dovere, visto che siamo uno dei Paesi con la pressione fiscale più alta; quasi tutti gli attori in gioco si impegnano a ridurla proponendo diverse misure: ridurre l’imposizione sui redditi di lavoro e di pensione, introdurre un’aliquota unica (“flat tax”), senza però fornire ulteriori, pur sommari, dettagli.
Se si considerano le Leggi di stabilità dal 2014 ad oggi, ad esempio, si nota che la maggior parte delle risorse disponibili sono state assorbite dalla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia rappresentate dall’aumento dell’Iva e delle accise; tale aumento scatta automaticamente in assenza delle entrate stimate sulla base di altre misure incerte, come le iniziative di contrasto all’evasione fiscale. Così la Legge di bilancio 2018 ha sospeso l’aumento dell’Iva ordinaria dal 22% al 25% e dell’Iva ridotta dal 10% all’11,5%, con un’operazione dal costo di circa 15 miliardi di euro, su un totale di oltre 20 miliardi di risorse mobilitate. Peraltro, si prevede una rimodulazione delle aliquote nel 2019 (al 24,2% l’Iva ordinaria e all’11,5% quella ridotta); questo vuol dire che il problema si ripresenterà a fine 2018, in occasione della prossima Legge di bilancio, quando il nuovo governo dovrà rassegnarsi a scendere a patti con la realtà e decidere cosa fare, benché non sia certamente di buon auspicio inaugurare la legislatura con un aumento dell’Iva in un momento di lenta ripresa dei consumi. L’imposta più evasa nel nostro Paese finirebbe per gravare ancora di più sui “soliti noti”, cioè sui contribuenti che già la pagano.
Lo stesso discorso vale per la contestatissima “Riforma Fornero”, che diversi partiti si propongono addirittura di “azzerare”. Per rendersi conto dell’assurdità basta riflettere su un dato elementare: la riforma pensionistica realizzata a fine 2011 comporta un risparmio di circa 300 miliardi di euro nei prossimi 40 anni; abolirla significherebbe destinare alla spesa pensionistica l’ammontare complessivo delle risorse in gioco nelle manovre finanziarie per parecchi anni a venire, naturalmente con l’approvazione dell’Unione europea, di cui facciamo pur sempre parte e nonostante la retorica dei giovani senza lavoro. Il tema è, a mio parere, molto più serio perché comporta – come ho cercato di evidenziare in più occasioni – una controtendenza tra età pensionabile, che si sposta sempre più avanti per la sostenibilità del sistema previdenziale e l’impatto dell’innovazione tecnologica su diversi settori, che comporta flessibilità e competenze sempre nuove, non più accessibili a una certa età, tanto da indurre diverse imprese già oggi a negoziare forme di esodo anticipato per ridurre il numero dei lavoratori.
Per tornare a quanto dicevo all’inizio, in un recente discorso all’assemblea plenaria della Congregazione per la dottrina della fede, il Papa è andato – a mio parere – alla radice del problema, evidenziando “l’orizzonte sempre più fluido e mutevole, che caratterizza l’autocomprensione dell’uomo di oggi e che influisce non di poco sulle sue scelte esistenziali ed etiche. L’uomo di oggi non sa più chi è e, quindi, fatica a riconoscere come agire bene. In questo senso, appare decisivo […] richiamare la vocazione trascendente dell’uomo e l’inscindibile connessione della sua ragione con la verità e il bene, a cui introduce la fede in Gesù Cristo. Nulla come l’aprirsi della ragione alla luce che viene da Dio aiuta l’uomo a conoscere sé stesso“. Mi pare una efficace e sintetica descrizione del criterio originale con cui valutare tutto. Anche i programmi politici.