Anche la Cina ha espresso la sua preoccupazione per il rischio default degli Stati Uniti, che scatterà il 17 ottobre prossimo se entro quella data Democratici e Repubblicani non troveranno un accordo sul tetto del debito. Il viceministro delle Finanze, Zhu Guangyao, ha sottolineato che il suo governo è “naturalmente preoccupato per gli sviluppi” della situazione americana. Si tratta del primo commento di Pechino dall’inizio della crisi del debito Usa. Per Mario Deaglio, professore di Politica economica all’Università di Torino, «a rendere difficile un accordo è il fatto che il vero motivo del contendere tra Democratici e Repubblicani non è l’entità del debito che deve essere consentito, ma gli interessi di tre lobby potentissime, medici, ospedali e case farmaceutiche, messi in crisi dalla riforma della sanità voluta da Obama».
Professor Deaglio, quali sarebbero le conseguenze se dovesse davvero scattare il default Usa?
Le conseguenze sarebbero certamente pesanti. In molti hanno usato l’immagine di una nuova Lehman Brothers, il fallimento che diede origine alla crisi globale nel 2008, ma in realtà quello che potrebbe succedere è che gli Stati Uniti non onorino il loro debito sovrano. Prima di tagliare le spese per la difesa o altri capitoli essenziali del loro bilancio, a finire sotto la scure sarebbero le spese per gli interessi e per la restituzione dei prestiti. Questo sarebbe un evento di portata terribile per la finanza globale, in quanto i buoni del tesoro americani sono diffusissimi in tutto il mondo, e il fatto che non siano più sicuri rappresenterebbe un colpo importante all’uso del dollaro come moneta di riserva.
Se il dollaro fosse messo in crisi come moneta di riserva, che cosa potrebbe accadere a Italia ed Europa?
Aumenterebbero gli scambi in euro, percepito curiosamente come moneta sicura soltanto due anni dopo che ne era stata predetta la fine da parte di alcuni premi Nobel. Anche il ruolo del Renminbi, la moneta cinese, già molto usata nel Sudest asiatico, si espanderebbe ulteriormente. A quel punto non si potrebbe fare a meno di una grande conferenza internazionale per gestire il periodo “post dollaro”. Anche se in realtà è probabile che entro la fine della settimana Democratici e Repubblicani trovino un accordo.
Se così non fosse, l’Europa beneficerebbe di un rafforzamento dell’euro?
È difficile dire se si tratterebbe di un vero beneficio nel momento in cui l’Europa non è attrezzata per fare fronte alla liquidità mondiale. L’Ue sta cercando di ridurre le spese di bilancio, e quindi di emettere meno debito pubblico. Nel caso di un default americano e di un prevalere dell’euro come valuta globale, il mondo andrebbe quindi incontro a una scarsità degli strumenti monetari di cui ha bisogno.
Perché i cinesi si mostrano così preoccupati?
La Cina è più preoccupata di altri Stati perché più di metà delle loro riserve sono in dollari. Se la valuta americana divenisse meno spendibile, o peggio ci fosse una rinuncia da parte di Washington a pagare i debiti, i cinesi si troverebbero in difficoltà.
In che modo Democratici e Repubblicani possono trovare una via d’uscita?
Quello che è in corso è un braccio di ferro su un punto preciso, cioè la legge sanitaria americana. In sostanza la riforma voluta da Obama non piace a tre lobby: quella dei medici, quella degli ospedali che negli Stati Uniti sono in buona parte privati, e quella delle industrie farmaceutiche. Tutti e tre insieme stanno cercando di bloccare la nuova legge, e quindi la vera questione non è il tetto del debito, ma i loro interessi. Quella difesa da queste tre lobby è dunque una visione piuttosto miope, e non invece il bene comune.
In che modo la riforma sanitaria va a intaccare i guadagni di queste tre lobby?
L’ObamaCare pone fine a un predominio di mercato di medici, ospedali e case farmaceutiche nei confronti del malato, in quanto consumatore di prodotti sanitari. Quest’ultimo è fatto passare attraverso un’agenzia pubblica riducendo i prezzi che possono essere richiesti per le prestazioni.
(Pietro Vernizzi)