La designazione della rappresentanza del Pd nella commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario ha rilievo anzitutto perché segnala che il leader Matteo Renzi ha fretta. Il segretario del partito di maggioranza – di fatto capo dell’ostruzionismo trasversale alla ridefinizione delle regole elettorali – ha invece una voglia matta di far iniziare il “processo politico” a banche e banchieri: anche se fra cento giorni o poco più le Camere saranno sciolte e la commissione potrà a mala pena abbozzare la ricostruzione di quanto è accaduto nell’Italia delle banche, almeno dal 2008 in poi.
Ma Renzi ha fretta, fretta che la Commissione si insedi e ponga immediatamente sulla griglia il Governatore in carica della Banca d’Italia, Ignazio Visco. E magari tenga lontano l’ex amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, che alcuni mesi fa Ferruccio de Bortoli ha citato come destinatario di pressioni anomale da parte del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, prima del crac di Banca Etruria. Non è un caso che nella pattuglia Pd per la commissione spicchi il nome di Francesco Bonifazi: tesoriere del partito, ma noto al gossip come accompagnatore della Boschi, nonché come socio fondatore del “giglio magico” renziano a Firenze.
L’altro nome pesante, fra i “giurati” scelti dal Pd, è certamente quello di Matteo Orfini: presidente in carica del partito. Quest’ultimo porterà in commissione il massimo livello rappresentativo del Pd di fatto dotando la delegazione di uno speaker da cui gli altri componenti non potranno facilmente smarcarsi: anche se hanno ad esempio il profilo prestigioso dell’economista Carlo Dell’Aringa. All’estremo opposto, è immaginabile che il ruolo di “commissario politico” della delegazione venga esercitato anche da Bonifazi: in veste di stretto osservatore personale del leader e della sua cerchia.
L’obiettivo che s’intravvede, in ogni caso, non è certo la redazione delle classiche, ponderose relazioni finali al termine di lunghissime audizioni. Il vero “bersaglio” del Pd renziano schierato in commissione parlamentare ha un solo nome e va centrato a scadenza brevissima. Si tratta del ricambio al vertice della Banca d’Italia del governatore Visco, il cui mandato si conclude a fine ottobre. La sua conferma o successione non è compito del Parlamento, ma – per legge – di una indicazione del premier Paolo Gentiloni al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la cui controfirma non sarà un atto solo formale. Renzi, tuttavia, sembra fermissimo: nella volontà di intervenire sul vertice Bankitalia e nella convinzione di poter avere l’ultima parola.
Le motivazioni di questo pressing politico sono abbastanza leggibili. Da un lato il leader Pd sta affrontando una campagna elettorale nella quale la crisi bancaria si annuncia come tema-guida assieme alla disoccupazione giovanile e alla crisi dei migranti. Renzi è (giustamente) preoccupato di vedersi attribuire tutte le responsabilità dei dissesti, da Mps a Etruria alle Popolari venete. Teme il malumore diffuso fra i risparmiatori non meno che le ombre politiche sul crack di Arezzo. E sa di essere esposto, Renzi, anche alla “ri-narrazione” di quanto avvenuto a Siena negli ultimi vent’anni, con la coabitazione in Mps fra la vecchia predominanza Pci e le influenze più recenti (Denis Verdini, condannato per il crack del Credito cooperativo fiorentino). L’opportunità di offrire Bankitalia come capro espiatorio è oggettivamente attraente.
Una diversa motivazione corre parallela alla prima e appare sempre di squisita natura politico-elettorale: estranea a un’effettiva riflessione parlamentare sulla crisi bancaria. Il rinnovo o il ricambio di Visco sono una scadenza istituzionale ineludibile. Se Visco sarà confermato è prevedibile che i media titoleranno “La sconfitta di Renzi” (e si tratta di un titolo potenziale anche per i due appuntamenti elettorali d’autunno: le amministrative in Sicilia e il referendum consultivo per l’autonomia in Lombardia e Veneto). Renzi ha assoluto bisogno di vincere la partita Bankitalia: di comunicare a 360 gradi che in Italia si fa quello che vuole il leader in charge del partito di maggioranza. Tanto più che il candidato vero alla successione di Visco è il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il quale è teoricamente in possesso delle credenziali per l’incarico di banchiere centrale italiano nell’Eurozona, ma potrebbe ottenere Palazzo Koch come “premio politico” per aver tenuto per quattro anni la trincea del Tesoro nei governi Renzi e Gentiloni. Che Padoan abbia lavorato molto – e non male, in condizioni difficili – su finanze pubbliche e banche è un fatto: il rischio, nel caso, è che diventi un’ipoteca politica.