Venerdì 22 è accaduto un fatto insolito nel mercato azionario italiano: si è quotata, nel segmento AIM, quello dedicato alle piccole imprese, una società, Vita spa, che nello statuto ha una clausola che impedisce la distribuzione di dividendi.
Vita spa è una società editoriale, pubblica un settimanale che da oltre 15 anni racconta non solo il mondo del non profit e del volontariato ma un’Italia che nessuno racconta, ha un sito con circa 600mila accessi unici al mese, ha una società di consulenza che si occupa in particolare di progetti di partnership tra aziende profit e realtà non profit.
In sostanza si tratta di un’impresa sociale che in questi anni ha continuato un percorso di crescita ma che aveva bisogno di provare a fare un salto. Per fare questo salto e trovare risorse da investire nell’impresa Vita ha scelto la via inedita di misurarsi in campo aperto con il mercato attraverso la quotazione in borsa.
Quotarsi tagliando preventivamente uno dei cespiti che il possesso delle azioni dovrebbe garantire, cioè la distribuzione del dividendo, poteva sembrare un azzardo, anche se c’è il precedente illustre della Microsoft di Bill Gates, che per molti anni non ha distribuito dividendi reinvestendoli tutti per privilegiare la crescita industriale (ma era una scelta strategica, non un vincolo di statuto).
Invece la scommessa stava proprio in quel punto: offrire al mercato la proposta di un investimento in un’azienda che reinveste tutti gli utili nel rafforzamento industriale e quindi nella realizzazione della propria mission. Il mercato borsistico non concede molti spazi agli idealismi, eppure venerdì ha “promosso” l’esordio del titolo di Vita che è stato addirittura sospeso per eccesso di rialzo.
Ci possono essere tante ragioni tecniche e psicologiche che spiegano un esordio come questo. Ma quello che ci sembra di poter di dire è che questa quotazione abbatte almeno due muri. Il primo è quello di un mercato prigioniero di un pensiero unico, tutto orientato sulle logiche speculative, sullo stress delle trimestrali, sulla finanziarizzazione dell’economia reale. Messo di fronte a un’alternativa, il mercato stesso ha risposto positivamente, riscoprendo una propria anima sana: la Borsa non come fine, ma come strumento per una crescita delle imprese.
Il secondo muro che è caduto riguarda il mondo delle “imprese sociali”, che oggi sono davanti a una prospettiva reale per la loro crescita, una prospettiva che non ne snatura l’identità. Se il tema della capitalizzazione e delle risorse è il tema chiave per l’economia civile in Italia, oggi è stata aperta una strada. Per percorrerla bisognerà avere la forza di uscire dalla nicchia mentale in cui il non profit troppe volte si è protettivamente rinchiuso.
D’altra parte i cambiamenti stanno travolgendo ed erodendo il sistema di welfare così come sino ad adesso è stato concepito; e il welfare di domani ha bisogno assoluto di un privato sociale che ne garantisca un carattere universalistico. Già si vedono molte realtà muoversi e svilupparsi. Ora sanno che il “dividendo sociale” che loro potranno distribuire è fattore che interessa molto anche il mercato.