Al Cnel, dove servo la Repubblica da circa un anno come Consigliere esperto su nomina del Capo dello Stato, è in corso da metà agosto un pasticciaccio brutto di cui la vittima principale rischia di essere il “terzo settore” (volontariato, imprese sociali e simili).
In breve, il decreto legge del 13 agosto prevedeva una riduzione dei consiglieri del Cnel da 121 a 71, una modifica del metodo di votazione in Assemblea e dell’organizzazione in Commissioni, mantenendo salvi i 12 esperti nominati dal Capo dello Stato e dal Presidente del Consiglio e i 10 esponenti del “terzo settore”. L’ingresso di questi ultimi nell’organo è stato tardivo e a opera di un ministro del Lavoro cattolico e specialmente interessato al settore (con la legge del 7 dicembre 2000) e le loro indennità sono a carico non del Cnel ma del ministero del Lavoro. Una posizione un po’ da “soci aggregati”.
Nella conversione del Decreto, la norma è stata modificata mantenendo le riforme ordinamentali, ma demandando al Presidente del Consiglio di definire la composizione del Cnel in base all’art. 99 della Costituzione. Secondo tale articolo, il Cnel, di rilevanza costituzionale, è composto per legge “da esperti e da rappresentanti delle categorie produttive in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa”. Transitando dal Senato alla Camera, la norma è stata ritoccata per includere tra i possibili componenti del Cnel pure il terzo settore.
Si è scatenata una vera e propria baraonda. Da un lato, oltre l’80% dei consiglieri Cnel accusano, a torto o a ragione, i rappresentanti del terzo settore di avere tentato un colpo di mano ferragostano e di avere manipolato i testi usciti dal Senato nel loro percorso verso la Camera: è iniziata, a Villa Lubin, un’attività di ostracismo nei confronti dei consiglieri espressione del terzo settore. Da un altro, avendo subito tagli, il ministero del Lavoro fa sapere di non avere più intenzione di prendersi carico dei loro costi. Da un altro ancora, gli esperti di nomina del Capo dello Stato e della Presidenza del Consiglio sono appena il 10% dei componenti del Cnel (mentre in organismi analoghi stranieri sono mediamente sul 20% e all’Organizzazione internazionale del lavoro i due terzi); la quota di spettanza del Quirinale e di Palazzo Chigi dovrebbe aumentare perché, a ragione di ristrettezze di bilancio, lavori e ricerche vengono, in questa Consiliatura, fatti da esperti e non da consulenti esterni. Infine, oltre due terzi dei Consiglieri Cnel hanno annunciato ricorsi che potrebbero paralizzare l’organo e arrivare alla Consulta.
In effetti, sondaggi ufficiosi con giudici della Alta Corte indicano problemi sia formali, sia sostanziali. Sotto il profilo formale, dato che la Costituzione affida alla legge l’organizzazione del Cnel, essa non può essere demandata a un decreto del Presidente del Consiglio. Sotto il profilo sostanziale, nonostante tramite oltre 100 organizzazioni il terzo settore rappresenti circa 3 milioni di uomini e donne, l’art. 99 della Costituzione non ne prevede la sua partecipazione al Cnel – proprio per questo la legge del 7 dicembre 2000 pone i suoi rappresentanti a carico del ministero del Lavoro.
A questo punto si pone un nodo non di bassa cucina, ma di alta rappresentanza. A chi conviene ostracizzare i rappresentanti del terzo settore e paralizzare il Cnel in una fase (lo ha scritto Il Corriere della Sera in un editoriale recente) in cui Villa Lubin sta mostrando incisività in vari campi (piano nazionale di riforme, infrastrutture, monitoraggio delle “Leggi Brunetta”) e in cui il segretariato di 70 Cnel esistenti nel mondo è stato posto a Villa Lubin? La bagarre – si dice già all’Oil – sta creando imbarazzo internazionale all’Italia in una fase in cui non ce n’è proprio bisogno.
Sarebbe futile perdere tempo a cercare l’untore, ossia se ci sono stati “furbetti del quartierino”; ove ciò sia avvenuto spetta alle loro organizzazioni sanzionarli per il danno reputazionale causato a tutto il terzo settore. A mio avviso, quando è stato scritto l’art. 99 della Costituzione il settore non aveva il rilievo che ha adesso. Il terzo settore ha titolo quindi di fare sentire la propria voce a Villa Lubin e dare il proprio contributo al Cnel.
Ma non entrando dalla porta di servizio e restandovi trattato con la diffidenza che si ha nei confronti dei “furbetti del quartierino”. Deve farsi promotore di una norma che azzeri il pasticciaccio brutto e contemporaneamente promuova una revisione dell’art. 99 della Costituzione. Prima che lo facciano altri e lo escludano per sempre.