Ci sono tutte le premesse perché l’arduo salvataggio del Monte dei Paschi di Siena diventi un giallo e susciti ulteriori attenzioni da parte dell’autorità giudiziaria. È questa la conseguenza, pressoché automatica, della lettera con cui ieri Corrado Passera ha ritirato la sua proposta per Mps come “conseguenza dell’atteggiamento di chiusura esplicita della Banca”, scrivendone le ragioni al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale senese: “A tre settimane dall’assemblea ancora non è stato possibile avviare alcun approfondimento. La nostra era una proposta seria di risanamento e rilancio, che avrebbe dato un ruolo centrale anche agli attuali azionisti. Ci sono state negate le condizioni minime per procedere”, pur avendo dalla propria “primari investitori che avevano manifestato interesse ufficiale già per 2 miliardi”.
Le “condizioni minime” si riassumevano, in sostanza, in una “due diligence” libera sui conti dell’istituto, e non nel semplice accesso alla “data room” dove gli advisor e il management del Monte avrebbero messo a disposizione solo i documenti da loro selezionati. Passera aggiunge, nella sua lettera, di aver approntato un “Piano d’Impresa molto dettagliato (che avremmo volentieri presentato, ma non ci è stata data la possibilità)”; e di disporre di “lettere di interesse ufficiali da parte di primari investitori internazionali per circa 2 miliardi di euro e dell’assunzione di un impegno a garantire l’aumento di capitale in opzione agli attuali azionisti per 1-1,5 miliardi”.
Secondo l’ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo ed ex ministro dello Sviluppo economico nel governo Monti, “il carteggio tra noi e la banca delle ultime settimane mostra che abbiamo fatto richieste usuali e in linea con le prassi di mercato per operazioni di questo genere, mentre la banca ci ha risposto ponendo condizioni impraticabili e consumando metà del già poco tempo a disposizione”. Passera dice di aver chiesto di poter “validare con i vertici della Banca le nostre ipotesi di lavoro al momento basate su dati pubblici e di poter approfondire alcuni temi fondamentali per qualsiasi investitore, prima di tutto la qualità del portafoglio crediti”. Invano.
Quindi la lettera passa a elencare una serie di atteggiamenti di chiusura, come si farebbe anche in un esposto alla Consob o alla magistratura. Sulla richiesta, e negata, due diligence; sul divieto di condividere le informazioni ricevute dalla banca con gli investitori interessati, per quanto sottoposti a vincolo di riservatezza; sul rifiuto della richiesta di presentare la proposta anche alla Vigilanza europea. Insomma, una serie di “no” che avrebbero dissuaso chiunque: “Venti giorni trascorsi in modo improduttivo, con l’unico effetto dannoso, per noi e soprattutto per la Banca, di essersi privata della possibilità di ricevere un’offerta definitiva e impegnativa che avrebbe, alla fine, potuto accettare o rifiutare”.
Quest’atteggiamento, da parte di un vertice nominato su diretta designazione del Ministero dell’Economia a vantaggio di un amministratore delegato che è espressione diretta di Jp Morgan, cioè della banca scelta dal governo come regista del salvataggio, e di Mediobanca che è advisor dell’operazione, e da parte di un consiglio che individua in questi due soggetti i punti di riferimento, configura una situazione più unica che rara. Abbiamo una banca di cui il primo singolo azionista è lo Stato, che viene affidata alle cure di JpMorgan direttamente dal governo, senza nessun tentativo di mettere in gara sul mercato il maggior numero possibile di potenziali investitori. Una specie di “asta impropria” senza possibilità di competizione, a vantaggio di un unico pretendente che si trova nel ruolo – in conflitto d’interessi – di advisor e pretendente e che ha l’esclusiva su informazioni che servirebbero a chiunque volesse controproporre un’alternativa.
È poco per parlare di “gara impropria e truccata”? Dopo l’offerta di Passera no, non è improprio: perché quel che pareva una mossa disperata e priva di alternative da parte del governo, cioè l’essersi affidati a JpMorgan e a Mediobanca, si è rivelata in realtà una scelta che aveva un’immediata concreta e possibile alternativa migliorativa. Alla quale però il nuovo vertice del Monte ha detto “niet”.
“La banca e i suoi amministratori”, conclude Passera nella sua lettera, “hanno deciso di puntare tutto su una unica alternativa e mi auguro, non solo nell’interesse della Banca, ma dell’intera Italia, che questa strategia, alquanto rischiosa, porti comunque ai risultati sperati. Ci siamo proposti alla banca e a voi membri del consiglio di amministrazione due volte, sempre in maniera costruttiva e amichevole, per contribuire a trovare soluzioni su un dossier così importante e delicato. La risposta della Banca è stata inequivocabile e ne siamo molto dispiaciuti”.
Parole come pietre. Rotoleranno, e chissà dove arriveranno.