Bombe, attentati e missili, almeno per ora, non hanno danneggiato la marcia dei mercati azionari che mietono record a raffica, da Wall Street alla vecchia Europa. Non c’è da stupirsi. Gli uragani, con il loro carico di distruzione, hanno avuto almeno l’effetto di raffreddare le tensioni sui tassi: il costo del denaro salirà, ma con grande gradualità. Certo, non è facile far previsioni quando si deve mettere nel conto l’effetto Trump. Ma, almeno per ora, il presidente ha deciso di stupire stabilendo un’inedita alleanza al Congresso con i leader democratici. L’apertura di Trump agli avversari (finora ricambiata) mette una pressione enorme sui repubblicani affinché si decidano a sbrigarsi e, allo stesso tempo, coinvolge i senatori democratici moderati dell’Ovest che dovranno presentarsi agli elettori fra un anno. Se alla riforma fiscale, sia pure annacquata, si affiancherà una Fed non restrittiva nel 2018, un nuovo ciclo di rialzo sulla borsa americana non è da escludere e sarebbe un peccato perderlo.
Intanto in Europa l’economia reale prende velocità, ma a frenare le tentazioni di una stretta contribuisce il rischio di un forte rialzo dell’euro, in grado di compromettere il lavoro della Banca centrale. Anche qui di rialzo dei tassi non se ne parla nemmeno. Forse nel 2019, quando Mario Draghi, prima di congedarsi da Francoforte, dichiarerà chiusa la stagione del denaro a costo zero o quasi. Nel frattempo la finanza nel Vecchio Continente vive una condizione ideale: la crescita che accelera, l’inflazione sotto controllo a tutto vantaggio dei Paesi più indebitati, una combinazione che non si verifica quasi mai, per giunta innaffiata da sovrabbondante liquidità. Tutto sembra filare liscio.
Per andare alla ricerca dei pericoli occorre guardar lontano. Che accadrà alla Cina dopo il Congresso del Partito Comunista di ottobre? Finora, con il trasparente obiettivo di arrivare all’appuntamento con un’economia vivace, Pechino ha praticato una politica espansiva, favorendo la creazione di una bolla immobiliare e mettendo le premesse per uno sboom violento: gli scossoni sui Bitcoin, la moneta virtuale che ha preso largo piede nel Paese del Drago, può rappresentare l’annuncio di una stagione di instabilità, assai pericolosa anche per noi: da Pechino non arrivano solo i proprietari di Milan e Inter, ma anche protagonisti ormai ben inseriti nella dinamica dei mercati occidentali il cui crac potrebbe esser paragonabile a quello di una (per ora) piccola Lehman Brothers. Soprattutto in un mercato che, viziato da un rialzo apparentemente senza fine, sembra aver smarrito la percezione del rischio. Per ora, però, la paura resta dietro la porta.
È una situazione sorprendente, soprattutto per noi italiani, così abituati a pensare al peggio da restar spiazzati dal clima attuale. Eravamo pronti a vivere l’ennesimo autunno caldo della finanza pubblica, in una cornice di scioperi e di nuovi collassi aziendali. Non sta andando così. Certo, la situazione dell’occupazione è quella che è, ma le cose vanno meglio di sei mesi fa. Lo stesso vale per le banche: migliorano gli impieghi, scendono le sofferenze. E, a differenza di quel che capitava nel biennio 2011/12, sul fronte della provvista cala il contributo delle banche straniere che all’epoca rappresentavano il 50% dei depositi, oggi solo il 20%. Un attacco speculativo su larga scala, in queste condizioni, sembra impossibile: la Bce è in condizioni frustrare qualsiasi tentazione.
Anche le elezioni, per ora, non fanno troppa paura ai mercati. “L’Olanda – argomenta un importante banchiere – non ha ancora costituito un nuovo governo dopo le elezioni di marzo. E nessuno ne ha fatto un dramma”. A ben pensarci, il cosiddetto miracolo spagnolo deve molto all’incertezza post-voto che ha impedito modifiche alle drastiche leggi approvare nella stagione dell’emergenza. E il Belgio ha attraversato quasi indenne la fase più drammatica della crisi dell’Eurozona senza governo. Andrà così anche da noi? Si prospetta una stagione di veti incrociati, senza un chiaro vincitore. Poco male, dicono i più cinici, se in questo modo si eviterà la tentazione di distribuire alle lobbies il tesoretto (che non c’è). Ma i cinici, di solito, sbagliano.
Le condizioni, forse irripetibili, dei mercati offrono all’Italia una grande occasione per tante missioni virtuose: aggredire il debito con le privatizzazioni; allargare la platea del capitale di rischio a vantaggio delle imprese e, magari, avviare a soluzione i nodi più drammatici, dalla Pubblica amministrazione a un piano per i giovani. Operazioni che non si possono affidare alla semplice dinamica dei mercati.