Il conflitto sorto fra la Presidenza della Repubblica e la Procura di Palermo ha assunto una valenza eccedente l’originaria dimensione costituzionale; riveste oramai una caratterizzazione storica, politica e perfino simbolica che segna e giustifica la relativa drammaticità istituzionale. Esso non è più riducibile alla mera contesa riguardante la definizione costituzionale delle attribuzioni coinvolte; più ancora, si configura come la risultante di tutti quei profili problematici la cui mancata soluzione ha favorito l’origine e il perdurare della Seconda Repubblica. Di conseguenza, dipendendo dal chiarimento di tutte le ragioni controverse che hanno caratterizzato il sistema istituzionale del trascorso ventennio, tale conflitto non può concludersi se non a rischio di sancire anche formalmente la parzialità delle prime e l’epilogo del secondo.
È sufficiente passare in rassegna i temi coinvolti per esserne coscienti e per accorgersi che nella specie, per così dire, tutti i nodi siano irrimediabilmente venuti al pettine.
Nella ventennale contesa fra politica e giustizia due sono stati i punti nevralgici fondanti il cosiddetto attivismo giudiziario: l’uso indiscriminato delle intercettazioni telefoniche, anche se indirette o casuali, impiegato patologicamente pure al fine di fare emergere in via giudiziaria la responsabilità (non già penale, bensì meramente) politica della parte intercettata; il ricorso alla lacuna normativa, anche se artificiosa, impiegato patologicamente al fine di penetrare direttamente nel tessuto legislativo e di surrogare l’attività del legislatore. Si tratta di questioni ben note, la cui mancata soluzione non è stata politicamente casuale; di certo essa ha consentito il perdurare di quell’incertezza istituzionale che ha nutrito il feroce e inconcludente bipolarismo vigente e che ha alimentato gli indicibili sprechi e la vertiginosa crescita della spesa pubblica. Significativo, al riguardo, è lo sferzante giudizio che il ministro Passera ha pronunciato al Meeting di Rimini: “Ci siamo mangiati 500 miliardi di proventi di privatizzazioni, di frequenze e cessioni di immobili. Se li avessimo utilizzati bene a quest’ora lo spread era a zero”.
Orbene, proprio l’impiego di tali irrisolti espedienti giudiziari è all’origine del conflitto fra Quirinale e Procura palermitana. A essere in discussione, ancora una volta, è la legittimità dell’impiego giudiziario delle intercettazioni indirette, con l’unica differenza che le conversazioni casualmente captate questa volta concernono il Presidente della Repubblica; ipotesi, questa, che, mancando di apposita regolazione e presentando una specifica lacuna normativa, è stata colmata dai pm secondo la disciplina generale, nel convincimento che l’irresponsabilità presidenziale non possa sconfinare nella sostanziale inviolabilità delle relative azioni.
A ben vedere, tuttavia, la mancata soluzione dei nodi problematici sottesi al conflitto fra Quirinale e Procura palermitana non è solamente di ordine giuridico. C’è un assordante silenzio storico e politico sulle origini della Seconda Repubblica, che certamente provoca e amplifica ogni dubbio al riguardo.
Di qui gli interrogativi sull’esistenza della cosiddetta trattativa fra lo Stato e la mafia, al cui accertamento l’indagine palermitana era volta. Di qui, ancor di più, le domande derivanti dal relativo mancato accertamento: se quegli attentati non vi fossero stati, le cariche istituzionali dell’epoca sarebbero state ricoperte dalle medesime persone? L’indirizzo politico realizzato dai governi di seguito succedutisi sarebbe stato il medesimo? Si tratta di dubbi ulteriormente accentuati dalle divulgazioni giornalistiche di questi giorni sul presunto legame fra la diplomazia Usa e il più popolare fra i pm del pool di Mani pulite: può veramente dirsi che l’indagine di Tangentopoli sia sorta casualmente e sia stata condotta in modo imparziale e trasparente?
La specificità e la drammaticità del conflitto in corso, in definitiva, non derivano tanto dalla delicatezza costituzionale delle questioni coinvolte; discendono, piuttosto, dall’assenza di ragioni condivise e conclamate concernenti l’origine e la prosecuzione della Seconda Repubblica. Non per nulla si è trattato di una stagione istituzionale segnata da una transizione politica infinita e dal continuo e fallimentare tentativo di supplire con nuove regole (le riforme costituzionali!) all’assenza di un compromesso politico pari a quello fondante la Costituzione del ’48.
Rispetto a tale contesto, tuttavia, la scelta di costituzionalizzare il conflitto presidenziale, bene che vada, sarà suscettibile di originare una regola costituzionale in più e una lacuna normativa in meno. Basterà questo per rendere ragione del ventennio trascorso e di un futuro ancora ignoto?