Altro giro, altra corsa per Alitalia. La “famosa/fumosa” lettera arriverà perché non vi sono alternative, visto che il vettore italiano ha i soldi fino al 15-30 agosto, ma indubbiamente la politica italiana ha fatto un altro pasticcio. Vi sono molti, troppi elementi di incertezza, primo fra tutti su chi ricadranno le colpe dell’investimento di denari pubblici di Poste Italiane. I 75 milioni di euro investiti da Poste, nell’ultima ricapitalizzazione di pochi mesi fa, sembrano ormai definitivamente persi e questa è solo l’ultima beffa nei confronti del contribuente italiano, che in Alitalia ha trovato un enorme buco nero.
Nel 2008, quando l’Alitalia pubblica fallì, portò con sé la bad company che lasciò ai contribuenti gli errori/orrori del passato con oltre 4 miliardi di euro di spesa pubblica aggiuntiva. Oltre a quelle perdite, la cassa integrazione speciale è costata più di un miliardo di euro in questi anni, per garantire un trattamento speciale ai vecchi dipendenti. Sette anni all’80% di stipendio, senza limiti per coloro che guadagnavano anche 10 mila euro al mese (non è un errore di tabulazione, diecimila). Sette anni a carico dei contribuenti per un trattamento di riguardo per tenersi buono il sindacato. Lo stesso sindacato che ora mantiene un profilo basso, perché evidentemente il Governo ha promesso qualcosa (altra cassa integrazione speciale?).
Non è chiaro dunque se sarà il contribuente a pagare per l’eccezionalità di Alitalia che ha bruciato ormai oltre 1,3 miliardi di euro dalla rinascita (come si vede nel grafico a fondo pagina), senza contare i contenziosi di circa 500 milioni di euro che la compagnia deve ancora risolvere. Un “Piano Fenice” totalmente errato, che il management ha cercato di correggere nel corso degli anni. Tuttavia, è durato meno di cinque anni l’investimento di oltre 1 miliardo di euro dei capitani coraggiosi insieme ad Air France-Klm. Quei francesi che lentamente sono usciti dal vettore italiano e che chiedevano lo scorso settembre condizioni migliori di quelle di Etihad: ristrutturazione della compagnia con meno tagli del personale e del debito. Nel frattempo il vettore ha bruciato circa 300 milioni di euro e gli emiratini hanno ora davvero il coltello dalla parte del manico.
Più passa il tempo, più la forza contrattuale di Etihad aumenta e non è un caso che la lettera sembra essere stata spedita grazie alla partnership del socio pubblico italiano. Ma vi sono interrogativi ancora più importanti da risolvere per il futuro. Il passato è invece chiaro: il contribuente è stato gabbato per l’ennesima volta. Per il futuro è quasi certo che il contribuente si troverà a pagare gli ammortizzatori sociali speciali di Alitalia.
Non si capisce invece chi saranno gli azionisti italiani e non si capisce come questi continueranno a investire nella compagnia in futuro. La nuova Alitalia, quella che sta fallendo, era ripartita con 1,2 miliardi di euro di investimenti e si sono dimostrati troppo pochi per un rinnovamento della flotta a lungo raggio. Ora se arrivano 600 milioni è sicuramente un fatto positivo, ma nel momento in cui ci vorrà una nuova ricapitalizzazione gli azionisti dovranno metterci ancora soldi: anche quelli italiani.
Etihad non potrà mai superare la barriera del 49% del capitale, altrimenti Alitalia perderà la licenza europea e la possibilità di operare liberamente nel mercato comunitario. Inoltre, ora Lufthansa inizierà davvero a fare pressione sulla Commissione europea per l’ingresso di Etihad, dato che ormai ha troppi vettori che le danno fastidio (Air Berlin in Germania ed Etihad Regional in Svizzera). E i tedeschi sono forti a fare pressione su Bruxelles.
Per comprendere al meglio il settore aereo, è bene ricordare che un aereo a lungo raggio costa fino a 250 milioni di euro. È per questo motivo che la cifra di 3 miliardi di euro che annunciavo già mesi fa è essenziale per un piano di sviluppo di Alitalia. Questo vuol dire che azionisti italiani dovranno continuare a investire. E chi vorrà ancora metterci dei soldi? Le banche che vogliono uscire a tutti i costi dall’ennesima “avventura”? I piccoli azionisti italiani che pensavano di guadagnarci e che hanno bruciato milioni su milioni? O forse Poste Italiane che ha già bruciato l’investimento di 75 milioni di euro?
Se il vettore va avanti a colpi di 500 milioni alla volta, nonostante la nuova ristrutturazione non volerà molto lontano. Questo è una delle poche certezze nei mille dubbi di una lettera che non arriva.