Mezzo miliardo di euro per salvare l’azienda, impedire la sospensione della licenza e comprare la benzina per far volare gli aerei, i soci di Alitalia non ce l’hanno. O non vogliono mettercelo. In queste ore, tutto sembra congiurare perché lo Stato, ancora una volta, intervenga. Con un salvataggio che sarà tale ma denominato in altra maniera. Ovvero, i bond aziendali sottoscritti dal governo oppure con l’intervento di Poste italiane. Non si spiegherebbero altrimenti, del resto, i continui incontri tra i responsabili della compagnia e il premier Letta. Nel frattempo, si fa strada la possibilità di un nuovo commissariamento, l’alternativa peggiore sia per la proprietà che per i sindacati. Lanfranco Senn, esperto di trasporti e presidente di Metropolitana Milanese Spa ci dice la sua sulla vicenda.
Le Poste potrebbero prendere parte alla ricapitalizzazione mettendo sul piatto 75 milioni di euro.
L’azienda, di fatto, è ormai privatizzata a tutti gli effetti. Un’opzione del genere, considerando che in passato il suo management ha dimostrato buone capacità di ristrutturazione, non è da escludersi a priori.
Perché l’idea di un commissariamento spaventa?
Un commissario, per definizione, spiazza i poteri. Si sostituisce in decisioni che hanno la legittimazione dell’eccezionalità all’ordinaria struttura decisionale. Va anche detto, tuttavia, che un commissario non è di per sé garanzia di una migliore gestione.
È giustificata la paura dei sindacati?
Non direi. Vede, tutti i lavoratori vanno garantiti. Ma quelli di Alitalia lo sono stati decisamente più degli altri. Sette anni di cassa integrazione, in Italia, rappresentano un privilegio del tutto inedito. D’altra parte, non è un mistero che alla complicata situazione della compagnia abbiano contribuito decenni di privilegi sindacali ben superiori rispetto a quelli delle altre categorie. Si suol dire che non esiste famiglia romana che non abbia un parente in Alitalia o alla Rai. Ciò significa che l’azienda è stata per anni una rete di sicurezza per l’occupazione romana, a prescindere dalla produttività o dalla professionalità.
La drammatizzazione degli eventi potrebbe servire a preparare il terreno all’ennesimo aiuto di Stato?
Non si può escludere, anche se è un’ipotesi del tutto scongiurabile. Sia che si tratti di un prestito vero e proprio, sia che si tratti di bond in cui lo Stato si assume il rischio dell’emissione. Insomma, l’aiuto di Stato vero e proprio è questione giuridicamente bypassabile. Resta il fatto che, nell’eventualità, si darebbero soldi dei cittadini a una compagnia che, per colpa della cattiva gestione di altri, è fallimentare.
L’ipotesi di acquisizione da parte di Air France è verosimile e auspicabile?
Certo, resta un’opzione sul piatto. Sull’auspicabilità, andrebbero sottolineate alcune perplessità. Occorre evitare che l’azienda pieghi agli interessi francesi la gestione del trasporto aereo italiano. Se Air France disporrà del potere di aprire e chiudere tratte, destinazioni e origini senza l’obbligo di una qualche forma di servizio universale, per la mobilità aerea italiana sarà un grosso problema. Non dimentichiamo che la Francia è il nostro primo competitor a livello turistico. In tal senso, sarebbe indubbiamente preferibile l’acquisizione da parte di Lufthansa. Che, molto più verosimilmente, si limiterebbe a praticare il proprio business senza piegarlo a interessi nazionali. Anche perché, per i tedeschi, l’interesse nazionale si verifica quando le aziende tedesche svolgono correttamente i propri affari.
E se gli azionisti di maggioranza dell’aziende diventassero i Benetton?
Difficile dire quante probabilità ci sono che questo accada. Di sicuro, sarebbe un’opzione interessante. Tutte le filiere del trasporto hanno bisogno di maggiore integrazione tra gestore delle infrastrutture e quello del mezzo. In caso contrario, la contrapposizione tra struttura e mezzo risulta deleteria. Basti pensare al danno prodotto al trasporto aereo dalla bagarre Sea-Alitalia.
Crede che Letta sia in tribolazione, come scrive Il Fatto Quotidiano, per salvare i soldi della banche creditrici?
Di certo, il problema esiste. Non saprei quantificare, francamente, l’ansia di Letta da questo punto di vista.
(Paolo Nessi)