Con una variazione nulla tra novembre e dicembre, l’inflazione in Italia nel 2015 è cresciuta solo dello 0,1%. Lo ha reso noto l’Istat, evidenziando che si tratta del peggior incremento dal 1959, quando si registrò una variazione negativa dello 0,4%. Anche nel resto dell’Eurozona l’indice dei prezzi non fa segnare rialzi: Eurostat segnala infatti che a dicembre il dato si è mantenuto stabile allo 0,2%. Abbiamo chiesto un commento al Professor Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, che ci ha anche avvisato su un rischio che il nostro Paese corre.
Professore, come interpreta questo dato sull’inflazione?
Il dato dipende da un fenomeno internazionale, che credo non molti abbiano ancora ben percepito. C’è stato uno sviluppo della produttività mondiale nel settore delle materie prime, non solo del petrolio, che quindi costano meno. Ciò ha generato un ribasso duraturo dei prezzi di questi prodotti. Che si riversa anche su altri settori, come i trasporti. Va notato che questo fenomeno si sta verificando in un periodo “bellico”, quando ci si dovrebbero aspettare tensioni al rialzo.
Questa inflazione quasi a zero è una buona notizia per gli italiani o no?
Di per sé sarebbe una buona notizia, una sorta di “pasto gratis”. Offre infatti un’opportunità che già si sarebbe potuta sfruttare nel 2015 per dare una spinta agli investimenti. Invece, dal punto di vista economico, compresa la finanza pubblica, è un brutta notizia, perché l’assenza di inflazione favorisce la crescita del rapporto debito/Pil, anche se gli interessi sul debito scendono.
Il rischio è che si manchino gli obiettivi previsti nel Def?
Sia per il 2015 che per l’anno in corso, poiché il tasso di inflazione rischia di salire sì e no dello 0,5%. Penso che ben che vada avremo una mancata riduzione del rapporto debito/Pil, ma rischiamo di avere un aumento. Oltretutto l’inflazione bassa non farà aumentare le entrati fiscali, creando rischi sul rispetto del parametro deficit/Pil, rendendo quindi più probabile una crescita delle imposte, dato che il Governo non sembra intenzionato a tagliare la spesa.
Quali altre conseguenze ci potrebbero essere?
Questo peggioramento del debito pubblico metterà ovviamente in difficoltà il Governo. Finora l’opportunità, il “pasto gratis” della bassa inflazione, l’abbiamo buttata via, è servita solo a Renzi per galleggiare e restare a palazzo Chigi. Invece dovremmo ridurre il deficit quanto meno all’1,5% del Pil, così da non sottostare ai diktat delle stranezze della Germania. Oggi invece siamo in pericolo.
In che senso Professore?
Siamo alla mercé della Germania, dove ormai è ricorrente il discorso secondo cui il prossimo Paese che entrerà nel tunnel dei salvataggi bancari, con le nuove regole del bail-in, è l’Italia. Siamo in una situazione in cui i tedeschi sanno che noi non abbiamo una crisi bancaria, ma vorrebbero che ce l’avessimo per farci “ripulire” il sistema dagli incagli. La Germania vorrebbe sottoporre l’Italia a questa purga per fare in modo che possa camminare, secondo modalità tedesche, con le proprie gambe.
Ci sono altre modalità per raggiungere lo stesso obiettivo?
Sì, quelle americane, per esempio. È noto infatti che gli Usa, durante la crisi, sono riusciti a rimettere in sesto il sistema bancario, con il Tarp, senza incidere in modo negativo sull’economia. Se l’Italia entrasse nel tunnel del bail-in, il rischio sarebbe spaventoso. Non si sa cosa succederebbe, ma sarebbe peggio di quel che è riuscito a provocare Monti.
Dunque l’Italia inizia il 2016 con dei rischi?
Sì, siamo in una condizione pericolosa per il fatto che i prezzi non salgono, e questo non aiuta il nostro debito, e perché con il livello di sofferenze bancarie che abbiamo rischiamo grosso. Se non avessimo questi debiti saremmo in una situazione tutto sommato positiva.
Questo basso livello di inflazione, comune a tutta l’Eurozona, può indebolire Draghi, togliendo all’Italia una valido “aiuto”?
Draghi viene indebolito perché i tedeschi attribuiscono al Qe il ribasso dei prezzi. Non riescono a capire che con la deflazione strutturale che c’è l’immissione di moneta nel sistema ha un effetto quasi nullo. E non bisogna dimenticare che la svalutazione dell’euro, provocata dalle scelte della Bce, ha ridotto la diminuzione dei prezzi su beni importati come il petrolio. Quindi, se non ci fosse stato Draghi saremmo in un crac deflazionistico.
Draghi rischia di dover fare un passo indietro?
In Germania c’è un’elevata propensione al risparmio, orientata soprattutto verso le obbligazioni. Quindi i tassi bassi sono un problema. E Berlino ha buon gioco a dare la colpa a Draghi. Tuttavia c’è la consapevolezza che lui deve continuare il Qe e prolungarlo per evitare il crac deflazionistico. Credo che il Presidente della Bce rimarrà al suo posto, anche perché per i tedeschi è un comodo pianista su cui sparare.
(Lorenzo Torrisi)