«Gli Stati Uniti si sono stancati di fare da locomotiva del mondo, che considerano un parassita, e a un certo punto la competizione elettorale tra Democratici e Repubblicani potrebbe diventare più importante dello stesso rischio di creare una nuova recessione globale dagli effetti disastrosi». Ne è convito Carlo Pelanda, economista e professore di Scienze politiche e relazioni internazionali all’University of Georgia di Athens. A suo dire, la proposta di un accordo sulla questione del tetto del debito avanzata dallo speaker repubblicano al Congresso, John Boehner, rientra nella logica di una trattativa, ma non necessariamente è la soluzione al conflitto politico in atto che minaccia di provocare un default Usa. Anche perché, per Pelanda, «l’intransigenza del Tea Party alla fine potrebbe fare saltare la mediazione e fare sfuggire la situazione di mano».
Pelanda, che cosa ne pensa della proposta di accordo formulata da Boehner?
È in atto un braccio di ferro, ed è normale che le due parti incomincino a negoziare. I Repubblicani vogliono uscirne con una vittoria politica, e Obama sta cercando di venirne fuori senza una sconfitta. Per il momento le preoccupazioni sono esagerate, anche se non si può escludere che qualcosa sfugga di mano.
Intanto però lo shutdown è giunto al decimo giorno…
Su questo occorre distinguere. Lo shutdown non è di per sé un fatto così allarmante. Negli Stati Uniti è quasi un fatto normale, se ritarda l’approvazione del bilancio federale si va verso un regime di spesa particolare che riduce al minimo le uscite. L’innalzamento del tetto del debito invece è tutta un’altra questione, che potrebbe diventare molto pericolosa.
Per quali ragioni?
Perché se il tetto del debito non viene alzato, lo Stato non può indebitarsi e quindi deve introdurre un taglio brutale alle sue uscite. L’effetto sarebbe quello di portare in recessione l’intero pianeta. È ciò che il Tea Party non capisce, a differenza degli esponenti conservatori del Partito Repubblicano. Il Tea Party sbaglia in quanto gli Stati Uniti sono l’unica locomotiva a trainare il mercato globale, e se quindi la locomotiva si ferma il mondo intero segnerà una battuta d’arresto. Nessuno però, neanche lo stesso Tea Party, vuole essere imputato di avere creato un mezzo disastro.
Dietro lo scontro politico in atto ci sono gli interessi delle lobby di medici, case farmaceutiche e ospedali privati?
La natura dello scontro è molto più profonda ed è squisitamente politica. I Repubblicani vogliono mettere Obama di fronte alle sue responsabilità e al principio che la spesa pubblica deve avere un limite. La riforma della Sanità ormai è un dato di fatto e la Casa Bianca non accetterà mai di ritirarla. I Repubblicani rispondono quindi bloccando l’innalzamento del tetto del debito, e l’obiettivo è indebolire Obama. Negli Stati Uniti è incominciata la campagna di Midterm, e l’opposizione punta a spaccare il Partito Democratico.
Riuscirà nei suoi intenti?
Obama è debole e screditato di fronte a tutto il mondo, e i Repubblicani vogliono costringerlo a chiedere aiuto in ginocchio per mostrare agli elettori americani che è un uomo finito. Il rischio in tutta questa vicenda è che anche i Repubblicani sono a loro volta indeboliti dall’irresponsabilità del Tea Party, e quindi a un certo punto la situazione potrebbe sfuggire di mano con conseguenze irreparabili.
Come andrà a finire?
La novità è che, a differenza degli anni scorsi, questa volta non possiamo escludere che alla fine l’accordo sul tetto del debito salti. C’è una componente dei Repubblicani, il Tea Party, che stanno puntando i piedi e la stessa corrente maggioritaria del partito è intenzionata ad adottare la linea dura nei confronti della Casa Bianca. L’obiettivo è chiudere la parentesi di Obama.
Come è vista da Washington l’eventualità di provocare una nuova recessione mondiale?
L’America si è in un certo senso stancata del resto del mondo, che considera come un parassita nei suoi confronti. Ragiona quindi soltanto in termini americani. Per gli Stati Uniti una recessione sarebbe un problema superabile, e per i politici del Congresso le possibili conseguenze ben più gravi che ciò produrrebbe per il resto del mondo interessano solo fino a un certo punto.
(Pietro Vernizzi)