Settimana scorsa Vivendi ha notificato alla Commissione europea che dopo l’assemblea di maggio potrebbe avere il controllo di Telecom Italia. La decisione potrebbe aprire a operazione straordinarie che coinvolgono l’ex monopolista pubblico; Vivendi è la stessa società che sta contendendo il controllo di Mediaset al fondatore e principale azionista Berlusconi dopo aver stracciato un accordo già firmato su Mediaset premium e aver poi rastrellato sul mercato una partecipazione di quasi il 30% tra rialzi del titolo a doppia cifra. Questo avveniva mentre sulla stampa internazionale apparivano articoli decisamente critici verso lo stile di governance di Vivendi e del suo maggiore azionista Bollorè. Ricordiamo che tutto questo, la disdetta unilaterale di un contratto firmato e i successivi acquisti sul mercato, coinvolgono la prima televisione privata italiana.
In questi giorni assistiamo ai tentavi di nominare come Presidente di Telecom Italia de Puyfontaine, indagato per aggiotaggio dalla procura di Milano, e amministratore delegato di Vivendi. Così dopo la prima banca italiana, Unicredit, e la prima assicurazione italiana, Generali, anche la prima società di telecomunicazione italiana avrà un presidente francese, così come il suo principale azionista.
Non si tratta di agitare lo spettro dell’invasione straniera, ma semplicemente di registrare il fatto che su tre asset strategici del Paese c’è un presidente francese e che neanche troppo lontano all’orizzonte si intravede un cambio di controllo, come nel caso di Telecom Italia, a tutto favore del sistema Paese francese; uno dei nostri grandi alleati europei come abbiamo appreso dai bombardamenti in Libia e dalle successive visite di Sarkozy in cui si spingeva per l’espulsione dell’Eni in favore di Total.
La sovranità sostanziale non può essere la stessa quando un Paese perde di fatto il controllo sul suo sistema finanziario, le banche, su quello del risparmio, le assicurazioni e il risparmio gestito con Pioneer ceduta da Unicredit alla francese Amundi, sulle sue televisioni e sulle telecomunicazioni. Come minimo si può dire che le leve della politica industriale in questo momento non siano in mano italiana, ma in mano al sistema Paese francese che giustamente fa gli interessi della Francia a volte in aperto contrasto con quelli italiani.
Per comprendere quale sia la questione e quale sia la partita basta osservare quello che è successo quando Fincantieri ha provato a comprare i cantieri di Stx France di Sainta Nazaire. Il tentativo di Fincantieri è stato oggetto di un’enorme opposizione politica preoccupata di tutelare il lavoro e l’indotto, le competenze di Stx France e dei suoi brevetti e gli interessi sulle evoluzioni militari; in pratica, l’obiettivo della “politica” era che Stx France rimanesse sotto controllo del sistema Paese francese. Il risultato è stato che Fincantieri ha potuto comprare solo il 48% della società, che lo Stato francese più la francese Dns avrà il 47% e una fondazione italiana, Cr Trieste il rimanente 5%; il cda verrà blindato con Fincantieri che avrà solo 3 membri su 9. Gli impegni prevedono tra l’altro che per cinque anni non verrà chiuso l’ufficio studi e i cantieri francesi potranno rispondere indipendentemente alle gare d’appalto.
Il governo francese ha chiesto e ottenuto per un’azienda molto meno strategica di Telecom Italia, dei media o del sistema finanziario una presa sostanziale del sistema Paese e ha ottenuto la certezza che gli interessi industriali e strategici francesi siano tutelati. La domanda che bisognerebbe porsi è se sbaglia l’Italia, l’unica in Europa che ha lasciato piena libertà su qualsiasi settore perdendo pezzi di sistema decisivi, o tutti gli altri, Francia e Germania inclusi, che invece in un modo o nell’altro hanno protetto completamente i loro settori strategici. Il tasso di crescita del Pil dell’Italia del 2017 dovrebbe far riflettere se non è bastato leggere cosa sia successo a migliaia di lavoratori italiani, al know-how e alle competenze tecnologiche delle imprese italiane comprate da investitori esteri: migliaia di posti di lavoro persi a tutto vantaggio dei Paesi acquirenti e perdita di tecnologica.
Ci sono state sicuramente eccezioni che però come noto non sono la regola. Se l’Italia vuole stare in Europa, almeno sia più europea cominciando a imitare quello che fanno Francia e Germania in politica industriale.