Dal Palazzo della Consulta alla fine sono arrivati due no. I quesiti referendari che puntavano ad abbattere il Porcellum sono infatti stati dichiarati inammissibili dai giudici della Corte Costituzionale. Si attendono a questo punto le motivazioni che dovranno essere pubblicate entro il 10 febbraio. «Sarà interessante leggerle anche se il nodo cruciale è facilmente individuabile – dice a IlSussidiario.net il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli –. Il Parlamento non può rimanere privo della provvista di una legge elettorale funzionante che ne consenta l’eventuale rinnovo, anche indipendentemente da un intervento del legislatore».
Un verdetto prevedibile alla vigilia, anche in base alla giurisprudenza?
Al di là del dibattito che si è aperto in queste settimane, i quesiti prevedevano l’abrogazione di una legge che a sua volta abrogava, e allo stesso tempo integrava, alcune disposizioni della precedente. I giudici hanno perciò dovuto rispondere a una domanda molto precisa: l’eventuale referendum avrebbe fatto rivivere la precedente disciplina o avrebbe bloccato il sistema? Secondo quanto ha stabilito la Corte, all’esito di un’abrogazione referendaria sarebbe risultata una carenza inammissibile.
Alla luce di questa decisione i promotori del referendum hanno qualcosa da rimproverarsi? I quesiti andavano formulati diversamente?
Non credo proprio. Chi ha promosso questi referendum ha seguito la via più praticabile e ha saputo raccogliere un ampio consenso. È la materia stessa, per le ragioni che spiegavo prima, ad essere molto delicata.
Secondo lei è corretto parlare di “sentenza-monito”, lasciando intendere che il Parlamento a questo punto è obbligato a intervenire?
È un’espressione che ho letto anch’io in molte dichiarazioni, ma che ritengo molto forte e non totalmente appropriata. Il Parlamento non legifera sotto dettatura. Nella sentenza potrebbe esserci l’indicazione di quali siano i punti critici della legge attuale, ma resta totalmente libero, e politicamente responsabile, di adottare qualsiasi procedimento elettorale che risponda a requisiti di democraticità. Non credo proprio che ci saranno delle indicazioni di merito sul sistema elettorale che andrà scelto.
Questo significa che i partiti potrebbero anche non cambiare la legge?
Giuridicamente non c’è nessun vincolo. Potrebbe anche accadere che non si trovi un accordo o che prevalgano coloro che hanno convenienza a mantenere l’attuale sistema. Certo, ci sarebbero degli effetti negativi a fronte della domanda di cambiamento che i quesiti referendari hanno suscitato, ma sempre a livello politico, non giuridico.
È una forzatura anche sostenere che il Mattarellum, in un certo senso, sia stato scartato?
Assolutamente sì. La Corte Costituzionale si è limitata a indicare che quella via non era idonea a modificare l’assetto. Chi vuole leggere in questa decisione una benedizione del sistema esistente o chi si aspetta un invito puntuale della Corte sulle correzioni che andranno fatte commette un errore. Ora tocca al Parlamento. Ha la grande opportunità di assumersi la responsabilità di un cambiamento importante sul piano elettorale e sull’assetto delle istituzioni. Mentre il governo concentra la sua azione sull’economia e sul risanamento può davvero appropriarsi di questo alto compito.