“Matteo Renzi pensa di poter utilizzare lo stesso meccanismo di qualche anno fa, quando elevando Massimo D’Alema a totem polemico riuscì a dare propellente alla sua scalata alla segreteria. Il premier però non si rende conto che i tempi sono cambiati e oggi non è affatto percepito come più nuovo di D’Alema”. Lo rimarca Alfredo D’Attorre, deputato di Sinistra Italiana dopo essere uscito dal Pd. Il 21 settembre prossimo la Camera voterà la mozione di Sinistra Italiana in cui si chiede al governo di modificare l’Italicum. Mentre il 4 ottobre, due settimane dopo, la Corte costituzionale dovrebbe pronunciarsi sulla sua legittimità.
Sinistra Italiana riporta l’Italicum in Parlamento. Che cosa vi attendete?
Intendiamo fare chiarezza e stanare il doppio gioco di Renzi e del Pd. Da un lato il premier annuncia la volontà di mettere mano alla legge elettorale, dall’altra non compie quel riconoscimento che sarebbe essenziale per dare credibilità a qualsiasi tentativo in questo senso. Dovrebbe cioè riconoscere che il fatto di approvare la legge elettorale con l’imposizione del voto di fiducia è stata una grave forzatura sul piano istituzionale, chiedere scusa al parlamento e riconsegnare davvero la materia alle due camere.
Voi quale proposta di legge elettorale avete in mente?
Noi vogliamo una legge elettorale che privilegi le ragioni della rappresentanza democratica rispetto a quelli di una governabilità forzata, nonché il diritto del cittadino di scegliere l’eletto e di mantenere durante la legislatura un rapporto costante con il rappresentante scelto. Da questo punto di vista il sistema ideale sarebbe quello dei collegi uninominali, e ci possono essere molteplici varianti che soddisfano a questa esigenza. Per esempio si può trovare un mix tra il sistema tedesco e il vecchio Mattarellum.
Secondo lei le aperture di Renzi sono reali?
Renzi cerca semplicemente dei diversivi perché è preoccupato dei sondaggi elettorali che danno i No in vantaggio. Vuole dunque togliere un argomento a chi si oppone alla riforma costituzionale. In realtà Renzi manca di qualsiasi credibilità nel suo tentativo di modificare la legge elettorale perché per farlo dovrebbe sconfessare uno degli atti più impegnativi che ha compiuto, cioè mettere la fiducia sull’Italicum.
Lei non ritiene possibile una marcia indietro?
Occorrerebbe un atto di umiltà, cioè il riconoscimento del fatto che l’impianto di fondo dell’Italicum, la sua concezione plebiscitaria, va rimesso in discussione. Ritengo che non ci sia assolutamente questa disponibilità. Renzi prova a lanciare un’esca a settori del suo partito, anche pressato da esponenti come Napolitano. E’ però evidente che si tratta di un gioco puramente tattico: il suo disegno è quello di incassare il Sì al referendum costituzionale e poi tirare dritto con l’impostazione presidenzialista dell’Italicum.
Lo scontro Renzi-D’Alema è degenerato. Lei come lo legge?
Renzi pensa di poter utilizzare lo stesso meccanismo di qualche anno fa, quando sfruttando l’ansia del parlamento ed elevando D’Alema a totem polemico riuscì a dare propellente alla sua scalata alla segreteria. Non si rende però conto che oggi non è affatto percepito come più nuovo di D’Alema. Governa da quasi tre anni, un tempo considerevolmente più lungo di quello che ha visto D’Alema a Palazzo Chigi. In questo periodo di tempo i risultati di Renzi sono stati molto scarsi innanzitutto sul piano economico-sociale. Si illude se si immagina di potere utilizzare una presunta avversione a D’Alema come un argomento per il Sì al referendum.
L’ambasciatore Usa e la Merkel hanno preso posizione sul referendum. Per chi lavora Renzi?
Renzi ha due stelle di riferimento fondamentali: il suo potere personale e gli interessi economici forti. Con questo termine mi riferisco alle grandi aziende multinazionali, alle grandi banche e a chi comanda in Europa come l’attuale governo tedesco. Il problema è che gli interessi di questi centri di potere non coincidono, anzi sono in contrasto, con quelli di larga parte dei cittadini, delle pmi, degli artigiani. Sono interessi che stanno soffocando la nostra economia e stanno portando sempre di più a indebolire il welfare.
(Pietro Vernizzi)