Crollo per la Borsa cinese che oggi, solo dopo la prima ora di scambi, perdeva il 7,31% per il Csi 300 – l’indice che raccoglie i maggiori titoli di Shanghai e Shenzhen – che si è visto costretto, per la seconda volta in una settimana, ad interrompere gli scambi per evitare una caduta libera.
Al continuo ribasso anche il valore dello yuan, che tocca i valori minimi dall’agosto scorso e perde contro il dollaro lo 0,51%.
Nel tentativo di risollevare la situazione le autorità borsistiche hanno stabilito che la regola del “circuit breaker” – il blocco delle vendite in caso di decremento di oltre il 7% – non scada in questi giorni come previsto ma venga addirittura accompagnato da un provvedimento che stabilisce che i gruppi che posseggono oltre il 5% di una società quotata non possano vendere più dell’1% nel corso dei prossimi tre mesi e che debbano dare comunicazione ufficiale e preventiva – di almeno 15 sedute – dei loro movimenti finanziari in Borsa.
L’onda negativa cinese ha sommerso tutto il resto dell’Oriente, portando il Nikkey di Tokyo ad una perdita sel 2,33%, Hong Kong a retrocedere del 2,9%, Seul dell’1,2% e Mumbay dell’1,8%.
Non ne sono uscite indenni le Borse europee, che alle 12 di oggi si trovano allineate su ampie perdite. A Milano viene oggi risparmiato il titolo di peggior ribasso europeo, per il quale lascia spazio a Francoforte, che perde il 3,18%. Piazza Affari scende comunque del 2,34%, toccando così i valori minimi dal gennaio scorso. Londra cala del 2,76% e Parigi del 2,67%.
Per il Ftse Mib resiste solo Italcementi, che si ferma sulla parità, mentre Buzzi Unicem, scende del 4,48%.v Nessun rialzo in Italia. Ribassi inferiori al punto percentuale per Snam ( -0,24%), Terna (-0,55%) e Poste Italiane (-0,56%).
Tracollo invece Banca Mps (-4,65%,) e Unicredit, che retrocede del 4,45%.
Indietreggiano, su valori più contenuti, anche Fiat, con un -3,97% e Azimut, con un -3,88%.
Risente del clima di tensione lo spread italiano, che a metà giornata sale del 2,63% segnando 100.01 punti base.
Ancora debole il petrolio, che perde il 2,40% e viene ceduto per 33,41 dollari al barile.