Una buona notizia è arrivata, qualche giorno fa, dal fronte della lotta all’evasione fiscale: in quasi un anno e mezzo la Guardia di Finanza ha recuperato 1,3 miliardi sequestrati a circa mille grandi evasori e tale somma frutterà alle casse del Fisco oltre un milione di euro a testa. Secondo i dati rilevati dalle Fiamme Gialle, in quest’ultimo periodo, l’Erario ha già incamerato, in denaro sonante, l’ammontare di 950mila euro. Tutto questo, deriva da 961 interventi dei militi, che hanno portato a 100mila deleghe della magistratura ordinaria e contabile. La strategia d’intervento della Guardia di Finanza è articolata in piani operativi raggruppati su più campi a tema. Nel 2018 sono stati 48, distinti in tre obiettivi importanti: la lotta all’evasione, all’elusione e alle frodi fiscali; l’alterco all’illegalità nella branca della tutela della spesa pubblica; la lotta alla criminalità organizzata ed economico-finanziaria.
Analogamente sono state concentrate sinergie di inchieste penali su delega della magistratura ordinaria e di quella contabile. In tutto sono giunte 115.462 deleghe, delle quali l’86% già concluse. Stando ai dati comunicati, sulla “linea di fuoco” dell’evasione fiscale sono 128mila le verifiche e i controlli effettuati. Si sono conclusi sequestri patrimoniali per circa 1,1 miliardi di euro, mentre sono state avanzate proposte di recupero per ulteriori 5,7 miliardi di euro. Ammontano a oltre 22mila le persone denunciate con 378 arresti; Per gli illeciti fiscali internazionali si evidenziano oltre 2mila soggetti scoperti. Infine, per quanto riguarda l’economia sommersa, sono stati acciuffati più di 12mila imprenditori del tutto sconosciuti al fisco (evasori totali), responsabili di aver evaso 5,8 miliardi di euro di Iva, mentre i datori di lavoro verbalizzati sono stati oltre 6mila, che hanno impiegato più di 30mila lavoratori in “nero” o irregolari.
Quanto scritto riguarda gli interventi contro la grande evasione, ma contemporaneamente ci sono, soprattutto, imprenditori che hanno piccole-medie pendenze a livello di debito con il Fisco, differenze, mancati pagamenti e multe dovuti più che altro a loro problemi economici e di scarsa liquidità, ampiamente vessati da cartelle esattoriali di Equitalia e in ballo con la rottamazione delle stesse, che riguardano il passato prossimo e quello remoto. Per questo variegato mondo di contribuenti è venuta alla ribalta la notizia, una novità, che si riassume nella cosiddetta “pace fiscale”.
Questa intricata vicenda legislativa è il frutto di una delle tante proposte sancite dal famoso “Contratto di governo” firmato da Salvini e Di Maio. E’ divenuta una priorità, un “fiore all’occhiello” del nuovo Esecutivo: da parte sua, c’è voglia di avviare subito il motore, con l’attuazione legislativa di questo “chiodo fisso”. Ma di cosa stiamo parlando?
In buona sostanza, si tratta di un condono, o meglio di una consistente rottamazione delle cartelle per 35 miliardi di euro. Al momento si sta valutando attentamente l’impatto che la pace fiscale, a firma Lega e Movimento 5 Stelle, potrebbe avere sulla definizione agevolata dei ruoli attualmente in corso. E che ha visto l’adesione di 950mila debitori, da cui l’erario attende 2 miliardi di euro per il 2018-2019. Sono, però, da capire i dettagli di questa misura, ben sapendo che manca il documento definitivo.
Nelle ipotesi giallo-verde si prevedeva di richiedere tra il 6 e il 25% del dovuto, in base allo stato patrimoniale e ai redditi dei contribuenti. Ma si tratta, appunto, di una bozza iniziale, che, considerando l’ampia forchetta prevista, può subire un deciso scostamento. Purtroppo, come sempre, è più facile a dirsi che a farsi, perché di mezzo ci sarebbe una trattativa con l’Unione europea dall’esito tutt’altro che scontato. Non è affatto detto che l’Europa decida, infatti, di consentire l’utilizzo delle una tantum per abbassare il deficit pubblico. Resta, allora, non solo molto da lavorare, ma anche molto da scommettere sull’effettiva realizzazione di questa pace fiscale. Anche perché – ripeto – nelle ipotesi formulate dai fautori del nuovo Esecutivo si legge come la richiesta possa variare tra il 6 e il 25% del dovuto. Scenario realizzabile?
Di certo c’è solo il desiderio dei partiti di maggioranza di fare in fretta. Bisogna, poi, considerare che anche il governo Gentiloni, con il progetto “rottamazione” (è, tra l’altro, notizia di ieri l’allarme della Corte dei conti: mancano versamenti per 9,6 miliardi), ha proceduto in questo orientamento; infatti, nel 2017 l’Agenzia delle Entrate ha recuperato più di 20 miliardi di euro con la guerra all’evasione. Se si computano anche gli importi recuperati da altri istituti creditizi, come Inps e Comuni, il totale delle somme incamerate nelle casse pubbliche giunge a quasi 26 miliardi di euro.
In questo scenario, però, c’è da districare il problema con l’Europa, in quanto il nostro Paese deve assicurare una crescita nominale dell’esborso primario netto che non ecceda, nel 2019, lo 0,1%, correlato a un accomodamento strutturale del deficit dello 0,6% del Pil (pari a 10,6 miliardi di euro). Inoltre, bisogna assolutamente considerare le entrate non previste per la riduzione del rapporto tra debito e Pil e spostare la tassazione dal lavoro, aggiornando anche le rendite catastali.
Ma quale può essere un giudizio complessivo sulla vicenda? Come già ribadito, la pace fiscale doveva essere il primo passo del nuovo governo; questa strategia, però, si sta scoprendo più un’azione da “azzeccagarbugli”.
Innanzitutto, i conti non tornano. Secondo i leghisti, che ne hanno fatto un “cavallo di battaglia” sbandierato da tempo, la pace fiscale dovrebbe portare nelle casse dello Stato 60 miliardi di euro in due anni, di cui 35 nel 2019; è una dote che dovrebbe fiaccare notevolmente i costi d’avviamento del taglio delle imposte con la flat tax a due aliquote. Pare, però, che il gettito reale sarà molto più piccolo, intorno ai 13 miliardi di euro.
Come mai? I calcoli partono dal totale dei vecchi crediti dell’Agenzia delle Entrate, che superano gli 800 miliardi di euro: gran parte di quei crediti sono soltanto teorici, non più recuperabili; il motivo è che si riferiscono a evasori defunti, o senza il becco di un quattrino, o proprietari esclusivamente della prima casa che non si può sequestrare o pignorare per legge, o ancora imprese che nel frattempo sono fallite. Di sicuro, come afferma la Corte dei conti, la cifra su cui sarebbe possibile recuperare qualcosa arriva a 51 miliardi di euro.
Ma la strada da percorrere da parte del Governo si prospetta ardua, poiché – come anche previsto dal contratto – il contribuente moroso nella maggior parte dei casi può pagare il 25% del dovuto per espiare totalmente il debito con l’erario: così facendo, si arriverebbe a 13 miliardi di euro. Una stima, però, che potrebbe scendere verso il basso – in quanto nel frattempo da quei 51 miliardi qualcosa è andato via con le due rottamazioni delle cartelle di Equitalia -, ma nel contempo anche verso l’alto, perché, con un’opportunità di questo tipo così favorevole, il condono attuato dal nuovo Governo potrebbe “risuscitare” qualche nullatenente. Ma così facendo, il problema rimane: il gettito resterebbe lontanissimo da quei 60 miliardi di euro in due anni messi nel conto dell’ambizioso programma elettorale giallo-verde.
Per moltiplicare il gettito non c’è che una sola via: tramutare la pace fiscale in un vero e proprio condono tombale. La differenza, come è assolutamente palese, non è minima. Il condono tradizionale, come già nel passato, cancella solo i debiti che in quel momento sono iscritti a ruolo, cioè già noti al Fisco; quello tombale, non solo toglie i debiti già noti, ma elimina ogni opportunità di accertamento sul passato per chi fa domanda.
Come affermato anche recentemente dallo stesso Salvini, la Lega è tentata di percorrere la strada del “tombale”, come già accaduto nel 2002 con il governo Berlusconi. In quell’occasione, le casse dell’Erario divennero più ricche di 34 miliardi di euro, spalmati su più anni, record assoluto nell’uso dell’arma del condono tipica del nostro Paese. Lo scontro, però, con i 5 Stelle, per ora “soft”, è acceso, perché quest’ultimo non ne vuole neppure sentir parlare.
È come al solito lo scenario che appare quantomeno confuso, per non dire peggio, in particolare ai “poveri cristi” che hanno avuto la malaugurata sorte, chi più chi meno, di sbattere contro il sistema-fisco italiano.
È certo che questo “bailamme” di voci, di notizie, di smentite e di contro-smentite sulla condizione di stallo fin qui analizzata, fanno sì che si deteriori sempre più il rapporto contribuente/Fisco: il vero problema è che lo Stato, per l’ennesima volta, non è in grado di intervenire ad alcun livello, poiché è sempre più debole sia a livello economico (non ci sono più soldi…) sia a livello di intervento nel sociale. Chi ci governa, di qualsiasi colore sia, è schiavo sempre più dei “poteri forti”, interni e soprattutto internazionali, dimostrando una colpevole inadeguatezza a porre rimedio a qualunque cosa, soprattutto a causa di una cronica e volontaria incapacità a fare alcunchè per far quadrare i conti e produrre reddito, o quanto meno favorire la produzione dello stesso alle imprese, ai lavoratori autonomi e ai dipendenti, introducendo seri provvedimenti a sostegno di chi vive nella povertà e a favore del sempre più indifeso cittadino onesto. Ormai, neanche Pantalone pagherà più…