La presa di posizione del governo Conte sull’emergenza migratoria e sul regolamento di Dublino, che l’Italia considera ancora, dopo l’ultimo Consiglio europeo, superato e pertanto da abbandonare, fa uscire apparentemente il nostro paese dal cono d’ombra in cui era stato finora relegato dal duo Merkel-Macron. Dico apparentemente, perché i giochi sono solo all’inizio, ma un risultato è stato comunque raggiunto: chiarire un po’ di più il termine “sovranista”. Un termine che ha probabilmente posto qualche problema al comune cittadino, che si sarà chiesto se fosse possibile un ritorno alla monarchia. La perplessità non è svanita quando poi ha capito che l’epiteto era rivolto a chi voleva mantenere la sovranità dell’Italia nei confronti dell’Unione Europea. Fino a prova contraria, l’Italia è ancora uno Stato sovrano, come tutti gli altri membri dell’Ue, pur all’interno dei trattati firmati e delle parziali cessioni di sovranità alle istituzioni europee che essi comportano. Tuttavia, per loro stessa natura, i trattati possono comunque essere ridiscussi.
Queste affermazioni, che parrebbero ovvie ovunque tranne che in Italia, trovano conferma proprio nei comportamenti dei due interlocutori di Conte. Per esempio, nei viaggi che Macron e Merkel hanno compiuto recentemente a Washington, a Mosca o a Pechino, a quanto pare non in missione per conto dell’Ue: non vi è traccia di un simile mandato formale da parte di nessuna istituzione dell’Unione. Questi viaggi avevano, del tutto lecitamente, lo scopo di promuovere e difendere gli interessi dei loro Paesi: se questo va anche a vantaggio degli altri Paesi dell’Unione, tanto meglio, altrimenti poco male. E’ naturale che sia così, ciò che non è naturale è che questo non valga per l’Italia e che questa anomalia sia stata accettata praticamente da tutti i passati governi italiani.
Lo stesso discorso vale anche per le critiche alla posizione filorussa attribuita a Matteo Salvini. Che dire di Macron, che è andato a Mosca con una folta delegazione di imprenditori desiderosi di fare affari con i “cattivi” russi? In prima fila la Total — sì, quella dietro l’attacco di Sarkozy alla Libia per far fuori l’Eni — che sta sviluppando a Yamal, dove c’è una delle più grandi riserve mondiali di gas, un progetto con la russa Novatek e la cinese Cnpc per la produzione di gas liquido, valutato in 27 miliardi di dollari. La minaccia però, per alcuni commentatori di casa nostra, viene dai tentativi dei “sovranisti” di riprendere le nostre esportazioni verso la Russia di quel pericoloso materiale strategico che sono gli ortofrutticoli.
Sempre a proposito di gas, recentemente Angela Merkel si è improvvisamente ricordata che il Nord Stream 2 avrebbe reso inutile il passaggio attraverso l’Ucraina, privandola dei relativi proventi. Ha fatto quindi presente a Vladimir Putin la necessità di salvaguardare gli interessi ucraini. Visto che il gasdotto è già stato approvato dalle autorità tedesche, Putin pare si sia detto d’accordo. Infatti, Gazprom sta rinegoziando il contratto con Kiev, che scade nel 2019, ma guarda caso su basi più limitate rispetto al passato. Bruxelles aveva alzato il ditino sul progetto, ma si è apparentemente arresa. Nel progetto iniziale, Gazprom aveva cinque soci: l’olandese Shell, le tedesche Uniper e Wintershall, la francese Engie e l’austriaca Omv. Queste società sono ora uscite dalla compagine, lasciando Gazprom unico azionista, ma continuano a partecipare al progetto come finanziatori. Un bell’escamotage, verrebbe da dire.
C’è da sperare che Conte continui a far valere le nostre posizioni nell’Unione, con i suoi garbati ma decisi modi, e che nel frattempo Salvini, passata definitivamente la tornata elettorale, riveda il suo stile volutamente ruspante. La sostanza rimane comunque quella indicata da Paolo Savona nell’intervista esclusiva al Sussidiario: non si tratta di uscire dall’euro o dall’Unione Europea, ma di far sì che ambedue operino nell’interesse di tutti, non solo di alcuni.