Nato sotto il segno di Renzi, il progetto della fusione dell’Anas nelle Ferrovie dello Stato si compie sotto quello di Renziloni, il governo-clone teleguidato dal maleducato di successo (copyright Ferruccio De Bortoli) di Rignano sull’Arno. Fermi tutti: perché parole così “antipatizzanti”? È vero: è presto per indignarsi. Diamo tempo al tempo: capiremo. Capiremo, cioè, quale sia la ratio industriale e finanziaria dell’operazione. Si spera che lo capiremo, e lo si deve sperare per carità di patria, perché per ora proprio non si capisce.
Ma andiamo con ordine nell’esplorare questi reconditi “perché”, seguendo la traccia della ricostruzione che dell’abbozzata decisione fornisce l’autorevole – nonostante tutto – Sole 24 Ore. Ebbene: “L’operazione prevede l’acquisizione della società Anas come è oggi da parte del gruppo Fs. In questo modo la società stradale manterrà la sua autonomia (sic: quale autonomia sarà mai, visto che all’indomani dell’operazione il vertice dell’Anas non sarà più nominato direttamente dal governo, bensì dal vertice della controllante Ferrovie?, ndr ). L’operazione avverrebbe con aumento di capitale di Ferrovie effettuato dallo Stato mediante il conferimento di Anas. Questa soluzione consente di mantenere invariato il patrimonio dello Stato, che era l’obiezione mossa dalla Ragioneria. In sintesi, oggi lo Stato ha un valore patrimoniale di 38 miliardi circa di Fs e di 2 circa di Anas. Dopo tale operazione lo Stato avrebbe un valore patrimoniale di Fs di 40 miliardi circa, mantenendo immutato il saldo complessivo”.
Dunque per ora nessuna spiegazione sulle finalità gestionali del tutto. Si potrebbe credere, però – per assunto! – che esse vadano individuate nell’accentramento delle competenze strategico e decisionali in capo alle Ferrovie! Ma attenzione: “Si sta valutando – precisa il quotidiano color salmone – anche l’inserimento di un comma voluto dal Ministero dell’economia e finanze con il quale si stabilisce che ogni decisione sul futuro assetto di Anas da parte di Fs sia autorizzata dal Mef. Fs dovrà presentare una approfondita relazione illustrative dei benefici industriali dell’operazione”. Quindi: le Ferrovie diventano padrone dell’Anas, ma devono chiedere il permesso prima di prendere qualsiasi iniziativa gestionale…
Fin qui le indiscrezioni. L’ultima delle quali autorizza a credere che di deciso, definito, chiarificato non ci sia ancora tutto: tanto che è il governo a volersi tenere il pallino in mano direttamente, e non per interposte Fs. Ragioniamo in astratto sulle possibili e logiche conseguenze della fusione. Concentrare in un’unica sede le decisioni sulla rete viaria delle strade statali e della rete ferroviaria potrebbe avere due esiti positivi: ottimizzare i lavori di manutenzione ed estensione delle due reti, permettendo di coordinare per esempio le aperture e chiusure dei cantieri nei tantissimi punti dove le due reti confinano o si intersecano e di risparmiare contemporaneamente sui connessi investimenti; e fluidificare allo stesso tempo i rapporti della nuova, unificata entità con gli enti locali, che avrebbero in questo modo un unico interlocutore con cui decidere tempi e modi degli interventi.
I vantaggi palesi però cessano qui, ammesso che possano prima o poi maturare grazie alla fusione. Poi iniziano i problemi, o almeno i dubbi. Infatti, mentre l’Anas è un ente statale di gestione meramente pubblica di un bene comune indivisibile e fuori mercato quali sono le strade appunto statali, le Ferrovie sono un accrocchio di due realtà molto distanti, concettualmente, l’una dall’altra. Da una parte c’è Rfi, la società che detiene e gestisce la rete ferroviaria; dall’altra c’è Trenitalia, una società di servizi ferroviari largamente maggioritaria sul mercato, ma in concorrenza, vera, sia sul traffico merci che sull’alta velocità (Italo) che sul trasporto regionale, che infatti viene periodicamente messo a gara. Una fusione logica dovrebbe quindi riguardare l’Anas non con il gruppo Fs ma con la sola Rfi.
Logicissima sarebbe, poi, questa fusione se divenisse l’occasione per scrivere un “testo unico” che riordinasse la gestione delle infrastrutture terrestri di logistica: strade statali, strade ferrate e interporti, cioè risorse scarse, collettive e indivisibili da una parte; e strade provinciali e comunali, oltre che ferrovie private in concessione (come la campana Circumvesuviana, e varie altre). In un Paese capace di fare sistema, se c’è un ambito nel quale le decisioni sullo sviluppo delle comunicazioni dovrebbero essere unificate in una sola centrale di comando è proprio quello delle strade e delle ferrovie. Ma non pare che questo sia lo scenario a tendere…
In quel poco che si sa della mossa del governo, infatti, di questa unificazione gestionale – ben distinta dall’esercizio dei trasporti ferroviari! – non si parla. Né tantomeno di alcun “testo unico” delle infrastrutture di viabilità e trasporto. Attenzione: la materia è già da tempo gravemente orfana di un riordino che si sarebbe reso indispensabile – ma nessuno si è finora preso la briga di occuparsene, nel Palazzo – dopo la riforma zoppa delle province. Che ha lasciato senza padrone le strade provinciali, come il crollo mortale di Lecco di qualche mese fa dimostra. La responsabilità delle strade che non sono né statalim né comunali ed erano provinciali viene infatti oggi rimbalzata tra Anas e Città Metropolitane. Tutte ancora da normare, sempre per la balzana fretta di fare riforme a metà. Questa responsabilità passerà dunque alle Ferrovie? E con quali fondi: con quelli ex-provinciali mai divenuti regionali? Mistero.
Come il presidente della Regione Toscana – l’anti-renziano Enrico Rossi – ha per primo e più volte con veemenza denunciato, dopo la riforma che le avrebbe abolite senza in realtà abolirle, ma solo svuotandole di ruolo (e non di costi!), le Province non hanno più né i poteri, né i soldi per manutenere le loro “ex” strade, pur stipendiando ancora le relative risorse umane; ma il patrimonio che quelle strade rappresentano, e i connessi costi gestionali, non è stato mai trasferito alle Città Metropolitane, che restano a tutt’oggi dei sarchiaponi burocratici incomprensibili e privi di regolamentazione. Cosa cavolo risolva la fusione dell’Anas nelle Ferrovie, in un simile ginepraio, non si capisce. Come non si capisce perché una stessa mega-holding debba includere al suo interno il possesso e la gestione delle infrastrutture di rete utilizzate da tutti i gestori, ma anche il possesso e la gestione di uno specifico gestore dominante, Trenitalia, in concorrenza con molti altri.
Alla luce di questa confusione normativa, la domanda “perché ora, perché così?” sorge spontanea. E sorge anche, pur se meritevole di repressione fiduciaria, il dubbio circa il possibile intento meramente “di potere” della manovra, quello cioè di spostare nella renzianissima orbita di potere – il capo delle Fs è il super-renziano Mazzoncini – tutto il cucuzzaro. Per la serie: prima faccio razzia, poi riordino. Non possiamo credere che si tratti di questo, solo di questo. Si resti, quindi, in fiduciosa attesa di chiarimenti.