Stefano Cingolani non è soltanto un grande giornalista, ma anche uno dei pochi osservatori intelligenti di questioni economiche, finanziarie e quelle che riguardano le relazioni industriali del nostro Paese.
Cingolani, ha visto la reazione di Sergio Marchionne di fronte alla presa di posizione di Bob King, il leader di Uaw, il sindacato che alla Chrysler ha fatto a suo tempo l’accordo con Marchionne e il presidente Barack Obama? Diciamo che Marchionne è inciampato sul sindacato. King è venuto in Italia questa estate e ha spiegato quello che aveva intenzione di fare. Non è un fulmine a ciel sereno quello che è avvenuto. I sindacalisti americani sono sempre dei sindacalisti, non sono bravi perché danno ragione a Marchionne, come pareva di capire. Per un periodo di tempo hanno fatto dei sacrifici, la Chrysler è stata salvata e in questo momento sta andando bene. Si è ripresa. Mi sembra normale che un sindacalista chieda di ricontrattare un accordo. Non ci vedo nulla di strano. Marchionne sapeva, King l’aveva detto, dove è la sorpresa?
Il problema è che Marchionne ha reagito duramente con Bob King e, in una lettera, sembra quasi fare la vittima: “Penso ai nostri 26mila dipendenti che domani lavoreranno senza un nuovo contratto e senza neanche un’intesa tra Chrysler e Uaw che preveda l’estensione del vecchio. Non c’è un accordo nemmeno sull’eventuale ricorso all’arbitrato. So che noi siamo la più piccola delle tre case automobilistiche a Detroit ma non per questo siamo la meno rilevante. I nostri lavoratori non sono meno importanti”. Marchionne è abbastanza spregiudicato. Devo dire che è un bravissimo manager nel definire i bilanci, nell’operare i tagli. Del resto questa è la sua carriera. Sinora ha fatto le cose abbastanza bene, sia in Italia che in America. Alla Chrysler le cose stanno andando bene anche per i modelli che lancia sul mercato: la Jeep, la Grand Cherokee. Ma se le cose vanno bene, dopo una sforzo comune, non si capisce perché Marchionne deve rifiutare sia le rivendicazioni economiche dei lavoratori americani sia l’intervento che Bob
King chiede nelle aziende dell’indotto di Chrysler dove non c’è più il minimo delle relazioni industriali.
L’impressione è che anche Marchionne si muova un po’ come un finanziere e non come il capo di un’impresa al cui centro c’è la costruzione di macchine In parte sono d’accordo con questa valutazione. In fondo anche l’indotto della Fiat di Torino, con nomi di grande prestigio è andato a lavorare in Volkswagen. Comunque non si può non considerare il lavoro fatto sino qui da Marchionne. Direi che gli manca un Vittorio Ghidella.
Si può proprio dire che Marchionne è inciampato nel sindacato. Prima ha indicato come un modello di relazioni industriali il sindacato americano e oggi Bob King lo ha probabilmente “gelato”. Quasi nello stesso momento, un giudice del tribunale di Torino ha confermato la rappresentanza sindacale di Fiom all’interno dello stabilimento di Pomigliano.
È vero che le dichiarazioni di Marchionne sul sindacato americano erano abbastanza enfatiche. Diciamo che era un po’ troppo declamatorio. Poi si vede che la realtà è un’altra. Quanto alla vicenda Fiom il discorso deve essere più articolato. C’è indubbiamente un gruppo dirigente Fiom che è nostalgico ancora della battaglia perduta in Fiat per la “marcia dei quarantamila di trenta anni fa”. Ma la base della Fiom mi sembra più realista e ragionevole, Marchionne con la Fiom ha cercato la forzatura, ha teso una trappola e la Fiom c’è caduta.
È stato Marchionne a forzare il confronto ? In parte, ripeto, lo ha cercato. Anche se devo dire che a volte Marchionne ha perfettamente ragione quando muove le acque in un Paese come il nostro ossessivamente impastato, immobile, incapace di rinnovamento nel campo delle relazioni industriali. Detto questo, dato atto a Marchionne di saper muovere un po’ le acque, devo dire che da un po’ di tempo in qua sta battendo il passo. Non conclude un rinnovamento importante per la Fiat. Ce ne accorgeremo tra qualche anno.
Crede che la Fiom, dopo la sentenza del giudice e la risposta del sindacato americano riprenderà spazio ? Mi sembra inevitabile. Se si muove con realismo perché non dovrebbe riguadagnare spazio in una realtà come Fiat?
Ora le faccio un’altra domanda che riguarda l’altra parte della barricata Fiat, cioè la famiglia azionista. Come verranno giudicati questi problemi sindacali che arrivano anche dall’altra parte dell’Atlantico ? Qualche peso, a mio avviso l’avranno. Penso che al’interno della grande famiglia ci sia sempre qualcuno che pensa a un disimpegno, soprattutto adesso che le aziende stanno andando bene. Spero di sbagliarmi, perché mi dispiacerebbe vedere un’azienda che pensa solo ai profitti. Tra le altre cose, bisogna pure
ricordare la differenza tra operai americani e operai italiani. I salari degli americani sono molto più alti di quelli italiani. Non si può dimenticare questo e poi parlare continuamente di aumenti in base alla produttività.
(Gianluigi Da Rold)