La doppia candidatura “blindata” di Maria Elena Boschi in vista del voto politico – a Bolzano in un collegio uninominale e in una lista plurinominale in Sicilia orientale – ha già registrato ogni commento possibile. Salvo forse uno: il contenuto emblematico rafforzato su un fronte politico-istituzionale solo apparentemente laterale come quello della autonomie.
La scelta dell’Alto Adige è già stata ampiamente criticata sul piano politico. Boschi – da ministro delle Riforme nel governo Renzi – è stata la sostenitrice istituzionale di un progetto di revisione costituzionale in senso centralistico, poi bocciato dal referendum. Già allora, in ogni caso, il ministro aveva fatto spazio nel pacchetto a una micro-clausola che concedeva all’Alto Adige la possibilità di riformare in autonomia il proprio statuto. Non è stato per caso che – su pressing degli autonomisti della Svp – il 63% dei sudtirolesi ha votato sì nel dicembre 2016.
Pochi giorni dopo la Boschi si è ritrovata sottosegretario alla Presidenza nell’esecutivo Gentiloni, con la diretta supervisione della “cucina” del governo quotidiano. Da qui sono usciti in direzione dell’Alto Adige provvedimenti molto generosi, firmati dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, renziano di ferro e difensore d’ufficio della Boschi nel caso Banca Etruria. Il rinnovo della concessione trentennale all’Autobrennero (A22) frutterà agli enti pubblici di Trentino e Alto Adige (Province, Comuni, Camere di commercio) il grosso degli utili su incassi stimati in 8 miliardi. Più specificatamente mirato all’Alto Adige è stato invece un meccanismo di finanziamento (650 milioni) per il BBT, la nuova galleria ferroviaria di base sotto il Brennero.
Non val la pena di indulgere in particolari riguardo l’assoluta “specialità” finanziaria di entrambe le Province “redente” nel 1918: possono trattenere il 90% del gettito fiscale. È anche per questo che la disoccupazione in Provincia di Bolzano è al 3,5%, un terzo di quella nazionale. E la spesa diretta in stipendi è più che doppia rispetto a Milano o Roma. È anche per questo che lo scorso ottobre in Veneto – a differenza della Lombardia – il referendum pro-autonomia è andato a segno: 56% di affluenza, quasi unanimità dei voti favorevoli. Del resto è di poche settimane fa il passaggio formale del comune dolomitico di Sappada dalla provincia di Belluno a quella di Bolzano: dove, per dirla brutalmente, gli impianti di risalita vengono finanziati a fondo perduto dalla Provincia e i ragazzi hanno i libri scontati a scuola. Non da ultimo: il presidente sudtirolese Luis Kompatscher percepisce un’indennità mensile superiore ai 25mila euro lordi, superiore a quella di Donald Trump. È questo il collegio elettorale in cui Boschi sta cercando rifugio, lontanissimo dalla sua Arezzo, devastata dal crack Etruria. Ma è anche questo il “modello” di cui, salvo colpi di scena, sarà rappresentante parlamentare la ex ministra delle ex riforme.
Anche la Sicilia è una Regione a statuto speciale e trattiene il 100% delle imposte prelevate sul suo territorio. Nonostante questo è noto quali siano gli indicatori economico-finanziari dell’isola: che nel 2016 segnalava un Pil-pro capite inferiore a 17mila euro contro gli oltre 42mila della Provincia di Bolzano. E secondo una recente rilevazione della Corte dei Conti, il debito pubblico medio italiano pro capite è di poco superiore ai mille euro, ma quello in capo a ogni siciliano è superiore ai 1.500 euro: per via di 8 miliardi di indebitamento diretto della Regione.
La Boschi stessa non ha escluso di dover utilizzare il paracadute elettorale siciliano: quindi potrebbe dover rappresentare a Roma gli interessi di tutt’altra “Italia a statuto speciale”. Due “Italie autonome” – Bolzano come la Sicilia – per ragioni diverse superate dalla storia e che il Resto d’Italia non sembra più disposto a tollerare. E il Pd sbaglierebbe se pensasse di cavarsela con un paio di annunci pre-voto da parte del sottosegretario all’Interno Gianclaudio Bressa. Non saranno due volanti lettere d’intenti con Veneto o Emilia-Romagna a mettere una toppa su uno degli aspetti più infelici del sempre più infelice “caso Boschi”.