Una battaglia strisciante, intestina, in grado di logorare i fedeli dei duellanti, più che i duellanti stessi; Bossi e Maroni negano, e continueranno a farlo. Ma che ormai entrambi siano schierati in opposte fazioni è di fronte agli occhi di tutti. Sembra che l’epilogo sia vicino, ma già altre volte, in passato, impressioni analoghe furono smentite dai fatti. Pare che la base non ne possa più di certi atteggiamenti ondivaghi di Bossi. Non gli perdonano di aver trasformato la Lega in un partito romanocentrico. E soprattutto, sono stufi del fatto che il Senatur sia sempre più in balia di chi sembra manovrarlo come un burattino: la moglie, la sindacalista padana Rosy Mauro e Marco Reguzzoni, in primis. Di quest’ultimo Maroni, facendosi interprete del sentimento della base, avrebbe “chiesto la testa”. Secondo Marco Cremonesi, inviato de Il Corriere della Sera, contattato da ilSussidiario.net, «Bossi pareva già convinto da tempo di sostituire Reguzzoni con un altro capogruppo. Si parlava di Nicola Molteni. Ma qualcosa è intervenuto, e ha bloccato l’operazione. Il problema, in ogni caso, è che Reguzzoni, al di là dell’incarico che ricopre in Parlamento, è parte determinante del gruppo familiare, il Cerchio magico».
Cremonesi, in tal senso, svela un inedito: «gruppo familiare significa, anzitutto, Renzo. Quando si parla di Cerchio magico dobbiamo ricordare che parliamo di persone che stanno sì attorno a Bossi. Ma, soprattutto, a Renzo, in qualità di “tutori”. Persone che il capo della Lega decise di affiancargli quando iniziò a temere che, per colpire lui, avrebbero attaccato il figlio. Da questo punto di vista, quindi, non so fino a che punto possa prendere le distanze». Resta il fatto che gran parte dei militanti, non ne possono più. «L’autorità di Bossi è stata messa fortemente in discussione e con il divieto per Maroni, poi rientrato, di tenere comizi ha dimostrato di non essere più in grado di cogliere le dinamiche che agitano la base». In ogni caso, non è che tutti, improvvisamente siano diventati maroniani. «Alle motivazioni politiche – come l’insofferenza dei sindaci negli anni in cui la Lega era al governo o l’impressione di non aver portato a casa abbastanza – si legano quelle personali: c’è, ad esempio, il militante che litiga con il suo segretario e diventa maroniano, o l’assessore che lo diventa perché litiga con il suo sindaco».
Le differenze tra i due, tuttavia, ci sono e sono sostanziali: «Li divide il rapporto con Berlusconi, le strategie legate alle alleanze (per Maroni, la legislatura sarebbe dovuta continuare, ma con un premier diverso ndr) e l’ipotesi dell’ex ministro dell’Interno di far rivivere un partito più legato al territorio». Quindi? La battaglia tra il generale e il colonnello giungerà mai ad una conclusione? «Prima o poi ci potrebbe essere un congresso federale in cui Bossi, pur non ritirandosi dalla politica, deciderà di mandare avanti qualcun altro. Secondo uno schema non molto diverso da quello adottato da Berlusconi e Alfano».