Se il Financial Times fosse finito ai tedeschi di Springer, questa sì sarebbe stata una notizia – ottima – per l’Europa. E dire che fino all’ultimo gli stessi giornalisti di FT – formalmente al riparo delle muraglie cinesi rispetto al loro proprietario Pearson – davano il colosso tedesco in vantaggio sul rivale giapponese Nikkei nell’asta da 1,3 miliardi di dollari per la più prestigiosa testata finanziaria globale. Difficile capire se si sia trattato di un concitato arbitraggio finale che ha stanato l’editore nipponico, oppure di uno sberleffo conclusivo del quotidiano delle City al Continente “teutonico” di questo inizio di ventunesimo secolo. Come spesso avviene nella storia in carne e ossa, è immaginabile che sia avvenuto l’uno e l’altro.
Un editore britannico legato alla finanza ebraica non avrebbe mai ceduto FT alla Germania: neppure nella globalità corrente, almeno presunta o vantata. Forse conta di più che Springer – che pubblica la Bild, più diffuso quotidiano europeo – ci abbia provato: vuol dire che la “Deutschland Ag” -politicamente pilotata dal cancelliere Angela Merkel – non ha più complessi verso nessuno sul pianeta e ha semmai strategie d’ impresa, visioni geopolitiche, ambizioni-Paese.
Può sembrare un paradosso, ma il Financial Times saluta quell’Europa ormai troppo piccola per il suo respiro di “neswprovider” dei mercati finanziari, tanto quanto il Vecchio Continente è apparso, negli ultimi giorni, periferico anzitutto al suo nocciolo duro tedesco.
E sarà vero che – in questo rovente luglio 2015 – le Borse cinesi non hanno dato agli investitori internazionali meno grattacapi della Grecia. Atene, tuttavia, resterà sempre una piccola e fastidiosa seccatura – al netto delle suggestioni parà-politiche -, mentre l’Asia si profila come l’area nella quale the things are happening nei prossimi decenni.
L’Asia del Giappone di nuovo protagonista (come negli anni ’80 a Londra). L’Asia della Cina con qualche indolenzimento da ipercrescita. L’Asia della Russia di Putin, senza se e senza ma. L’Asia degli Usa che sul Pacifico affacciano la Silicon Valley, gli Usa che in fondo si muovono da sempre meglio nell’Asia “muscolare” delle due Coree piuttosto che nel mischione euro-islamico. L’Asia dell’Iran semi-sdoganato è quello di Hong Kong e Singapore, che la Svizzera ormai è cosa da vecchi signori. L’Asia degli Emirati del Golfo che sono hub di fondi sovrani legatissimi alla City; l’Asia che è oggi il miglior partner dell’Africa post-post-coloniale L’Asia dell’India e dell’Australia, dell’Impero e del Commonwealth.
FT saluta e se ne va, anzi resterà come sempre nell’East End, come il suo cugino Economist (naturalmente non venduto a Nikkei). È probabile che tra un paio d’anni tornerà a essere del tutto “offshore” rispetto all’Unione europea, dopo il referendum d’uscita indetto in Gran Bretagna. “Il Continente è isolato” scriveva di frequente anche il Financial Times d’antan nelle giornate di nebbia sulla Manica. Oggi più che mai.