La mozione di Sinistra italiana ha riaperto i giochi sulla legge elettorale. Ieri la maggioranza ha raggiunto un’intesa, sottoscritta da Pd e Ncd, con la quale i partiti di governo manifestano in modo congiunto la disponibilità a cambiare l’Italicum. “Si tratta di uno sviluppo in parte strumentale — spiega il costituzionalista Stelio Mangiameli — perché nell’apertura di Renzi vi è l’ipotesi di uno scambio tra modifica dell’Italicum e voto a favore della riforma costituzionale. In parte per evitare, a questo punto anche dopo il referendum, di scivolare sulla sentenza della Corte costituzionale, che difficilmente potrebbe mandare indenne la legge elettorale”.
Ieri M5s ha presentato una mozione che impegna ad “approvare in tempi rapidi una nuova legge elettorale con formula proporzionale in circoscrizioni medio-piccole e preferenze”. Il Pd ha rinfacciato ai grillini di volerla cambiare perché la Raggi è in crisi.
Il M5s ha ceduto per un certo tempo alla tentazione di utilizzare l’Italicum a proprio favore, nell’ipotesi che l’elettorato di centrodestra, avverso a Renzi, avrebbe potuto votare il movimento, com’è accaduto al ballottaggio di Roma con la Raggi. Ma la crisi romana ha determinato una flessione nel consenso e avrebbe fatto apparire M5s come una forza politica opportunistica, oltre che incapace.
Da qui l’inversione di rotta.
Sì. Accusando l’Italicum di antidemocraticità e incostituzionalità e chiedendone la cancellazione totale, il M5s cerca di ripristinare la sua immagine di forza innovativa.
La proposta grillina nel merito è convincente?
Tende a premiare M5s in un modo diverso. Infatti, la proposta di circoscrizioni piccole con proporzionale e metodo D’Hondt comporta una soglia di sbarramento intorno al 7-8 per cento che finisce per favorire eccessivamente i partiti maggiori nella distribuzione dei seggi.
Potrebbe andare bene anche agli altri?
Non so se in Parlamento vi possa essere una maggioranza disposta a votare un simile sistema, soprattutto nel momento in cui il centrodestra non si è ancora riorganizzato. Certamente la proposta del M5s, che riecheggia il sistema spagnolo, può essere un modo per attenuare la frammentazione del sistema politico che da sempre è una caratteristica italiana…
Ma?
Tuttavia, potrebbe accadere ciò che è accaduto in Spagna e cioè che le forze politiche si raggruppino, ma allo stesso tempo si radicalizzino nelle loro posizioni e differenze, divenendo poco inclini a quel compromesso necessario alla governabilità del paese. Proprio il M5s nel marzo del 2013 ha offerto questa immagine, quando Bersani chiese loro di costituire una coalizione.
Nel Pd hanno accusato M5s di voler tornare alla prima repubblica, facendo notare che il proporzionale vuol dire alleanze. Ma per M5s sarebbe fatale.
No! Non sarebbe fatale. Senza bisogno di tornare alla prima repubblica, per la quale ormai nutriamo grande rispetto, visto come è andata la seconda repubblica, significherebbe che il M5s si è evoluto in una forza politica più responsabile, con meno atteggiamenti giustizialisti e più consapevolezza che la politica si può fare con gli altri, con i sani principi del compromesso che sono diversi da quelli della compromissione.
Qualcuno sta bluffando?
Questo non sono in condizione di dirlo. Se il M5s, però, consolida questo nuovo indirizzo e dichiara la sua disponibilità verso la formazione anche eventuale di una coalizione e affronta il tema del programma di governo, direi che questa può essere considerata una svolta positiva che potrebbe invogliare a tornare a votare una parte dell’elettorato assente dalle urne.
Secondo Renzi, con il rinvio la Consulta “ha chiarito che il referendum non riguarda la legge elettorale”. Come commenta?
L’affermazione è corretta tecnicamente, ma politicamente non è così. La legge elettorale è stata legata alla riforma costituzionale da due circostanze di fatto volute dal Governo Renzi: la prima è che è stata approvata in vista della riforma costituzionale, e la seconda è che con essa è stata disciplinata solo l’elezione della Camera dei deputati, dando per scontato che il Senato non sarebbe stato più direttamente eletto.
E quanto alla scelta del rinvio da parte della Corte costituzionale?
Le attribuirei un significato diverso e cioè che la Corte ha rispettato la campagna referendaria e il libero convincimento degli italiani sulla riforma costituzionale, evitando, un domani, l’eventuale accusa che con la sua decisione avrebbe rafforzato una parte, sia essa quella del Sì oppure quella del No.
Ma quali effetti produce il rinvio del nodo Italicum a dopo il referendum?
Non so dire se sia meglio fare la modifica della legge elettorale prima o dopo il referendum. So invece che una parte del mondo politico, compresa la minoranza del Pd, e dell’elettorato da questa rappresentato non si fida di una promessa di Renzi per una modifica dopo il referendum e perciò, se non si cambia prima la legge elettorale, il fronte del No, già cospicuo, appare destinato ad aumentare.
Modificare l’Italicum è dunque una decisione saggia?
Assolutamente sì. Sia per superare le perplessità costituzionali, sia per adattarlo meglio al sistema politico italiano, per il quale appare sempre necessaria la possibilità di un equilibrio flessibile tra forze diverse.
Come lo si ottiene?
Sarebbero necessarie tre modifiche: anzitutto prevedere una soglia bassa, intorno al 30 per cento, sotto la quale non si procede al ballottaggio e le forze politiche si mettono, in modo responsabile, a lavorare congiuntamente per il bene del paese. In secondo luogo, se non si supera il 40 per cento, per l’assegnazione del premio consentire tra il primo e il secondo turno il passaggio dalla lista alla coalizione, per assicurare una più solida legittimazione della maggioranza. Infine, evitare di spaccare i gruppi parlamentari tra i 100 capilista eletti senza preferenza e il resto dei gruppi eletti con le preferenze.
Perché?
Sarebbe utile una composizione omogenea dei gruppi parlamentari. Anche se le due impostazioni rispondono a filosofie alquanto diverse.
(Federico Ferraù)