La strada verso l’Unione bancaria europea è piena di insidie. La Bce si accinge a perlustrare anche gli angoli più bui dei bilanci di circa 150 istituti (13, in Italia, tra cui Intesa San Paolo, Unicredit ed Mps). L’operazione potrebbe scoperchiare il Vaso di Pandora. Questa è la preoccupazione di Mario Draghi. Che, in una lettera inviata alla Commissione Europea che sarebbe dovuta rimanere segreta, ha fatto presente come gli eventuali errori nella procedura di verifica potrebbero gettare in recessione intere economie. Il capo dell’Eurotower ha, inoltre, invitato a scongiurare il rischio di perdite per chi ha investito in obbligazioni. Tra i metodi privilegiati per ricapitalizzare in tempi rapidi, infatti, c’è il mancato pagamento dei bond subordinati. Abbiamo chiesto a Stefano Cingolani che scenari si prefigurano.
Le banche europee vanno ricapitalizzate?
Indubbiamente. L’elevata esposizione degli istituti di credito è emersa con la crisi, che ha svelato la debolezza di sistema.
Da cosa dipende tale debolezza?
Indubbiamente, nel momento in cui sono cadute le barriere tra attività classiche e speculazione, le difficoltà si sono acuite. Ma non è l’unico motivo. I titoli di Stato in pancia alle casseforti bancarie, per esempio, si sono rivelati in molti casi non sicuri. Spesso, poi, prestare soldi alle aziende ha significato riempiersi di crediti non esigibili. In Italia, infatti, il problema principale non consiste nell’avere troppi derivati in portafoglio, ma crediti concessi a piccole e medie imprese che magari non saranno mai recuperati.
Pare che se l’operazione di verifica sarà gestita male, intere economie potrebbero andare in recessione. E’ così?
Certo. Se la banca è a rischio di fallimento, gli investitori trasportano i propri capitali altrove; inoltre, una delle strade per realizzare aumenti di capitali in tempi rapidi consiste nel non distribuire i dividendi o nell’effettuare altre operazioni che colpiscono la redditività: tutto ciò diminuisce l’appetibilità della banca che, per limitare i danni, chiude i rubinetti del credito. Il che, ha un effetto recessivo immediato.
Draghi avrebbe chiesto di evitare di colpire gli obbligazionisti.
Una banca che arriva al punto di non pagare i bond in scadenza, o parte di essi, è come lo Stato che arriva al default. Tuttavia, il problema esiste, e con il caso Cipro si è iniziato ad affrontarlo prevedendo effettivamente la possibilità che i buchi delle banche siano colmati, anzitutto, dagli azionisti e, in subordine, dagli obbligazionisti, dai correntisti e dallo stato. Questa, del resto, è la linea sostenuta dalla Germania e dal governatore della Bundesbank che ha affermato esplicitamente che il modello andrà seguito anche in un’ottica europea. La lettera di Draghi è legata al rischio che di fronte alla necessità di salvare il sistema bancario passi la linea tedesca.
Tutte le opzioni sul tavolo sembrano avere effetti collaterali. Le ricapitalizzazioni non potrebbero essere poste in carico alla stessa Bce?
Da quello che si intuisce, è la strada che ha in mente Draghi. Probabilmente, tuttavia, la Bce non ha il mandato per farlo. Gli esperti giuridici dell’Unione europea affermano che i trattati non consentono operazioni del genere. Ci sarebbe bisogno di rivederli. Oppure, potrebbero essere emendati. Il Fiscal compact, d’altra parte, non era previsto, ed è stato aggiunto proprio attraverso un emendamento. Se Draghi è arrivato al punto di scrivere una lettera del genere è perché conosce bene il conflitto che esiste all’interno della Bce, e sa di non potere agire autonomamente. Prima ancora che di una soluzione tecnica, quindi, è alla ricerca di un sostegno politico.
(Paolo Nessi)