Più crescita e meno debito, è questo il messaggio che il governo affida alla nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza in vista della prossima Legge di bilancio. Pier Carlo Padoan potrebbe stappare una bottiglia di spumante (rigorosamente made in Italy per contribuire all’aumento del prodotto lordo), invece sprizza prudenza da tutti i pori. Certo, una crescita dell’1,5 per cento anche nei prossimi due anni e un debito pubblico che si ferma in rapporto al prodotto lordo, non l’avrebbe mai immaginata. Gli ultimi dati macroeconomici dell’Istat, gli indici della produzione industriale, l’occupazione, tutto mostra un’accelerazione che va al di là del dato medio. Se continua così, l’Italia non sarà più il vagone di coda dell’euro-treno, anzi tra i grandi paesi è quello che cresce di più insieme alla Germania. E senza violare il parametro del disavanzo pubblico (a differenza dalla Spagna e dalla Germania). Ma allora perché Padoan ha quella faccia triste?
La risposta non sta nelle cifre, ma nelle insidie della politica. Il governo pensa di presentare al parlamento due documenti paralleli per due voti che hanno un diverso impatto politico. Il primo è la nota di aggiornamento al Def che deve essere approvata a maggioranza semplice, il secondo è l’autorizzazione ad aumentare il deficit pubblico rispetto a quanto votato in precedenza, che deve ottenere la maggioranza assoluta. Viene rimandato ancora al 2019 il pareggio del bilancio che avrebbe comportato una manovra massiccia, del tutto sconsigliata alla vigilia delle elezioni. Padoan ha spiegato che prima “il sentiero” del deficit era 1,2%, 0,2% e 0. Adesso è 1,6%, 0,9% e 0,2% che tecnicamente consente il sostanziale pareggio. Ma con i numeri esistenti e con l’aria che tira, il voto in Senato è ad altissimo rischio.
Il miglioramento della congiuntura e di tutte le variabili macroeconomiche, del resto, favorisce l’assalto alla diligenza. Se ci sono più risorse perché non spenderle? Perché comprimere il deficit al di sotto del livello dello scorso anno? Il buon Mario Draghi non intende cambiare la politica monetaria nemmeno nel prossimo anno e un recente studio dell’Ubs sostiene che la probabilità che il debito italiano diventi insostenibile è allo stato attuale del tutto remota. Dunque, non ci sarebbe da temere nemmeno la rivalsa del mercato.
A bussare alla cassa del Tesoro non sono solo i sindacati che vogliono bloccare l’aumento dell’età pensionabile (Gentiloni ha escluso qualsiasi “operazione generalizzata”), ma i partiti. Tra le forze d’opposizione la più spendacciona sembra quella a cinque stelle; sì, proprio il movimento che ha raccolto consensi gridando contro gli sprechi del denaro pubblico, contro gli indagati e giurando onestà, onestà (quant’acqua è passata sotto i ponti). La destra moderata che si ritrova in Forza Italia, prima ha cercato di negare l’evidenza della ripresa, poi ha messo l’accento sulla disoccupazione (che resta il grande punto oscuro della nuova migliore congiuntura) e adesso scommette sulle contraddizioni interne al centro-sinistra. Non ha torto, perché questo può diventare il maggior ostacolo sulla strada del governo Gentiloni e della manovra che Padoan s’appresta a presentare.
Non vi sono soltanto i cespugli a sinistra della sinistra. L’insidia s’annida ai vertici del Pd. Matteo Renzi, presentando il suo libro in giro per l’Italia, lancia frecciate e azzarda fughe in avanti. Per esempio, ha annunciato misure straordinarie per ridurre il debito alle quali Padoan non pensa nemmeno lontanamente. La battuta è scivolata via (ne dice davvero un quantità innumerevole), ma se qualcuno si chiedesse che cosa vuol dire verrebbe subito in mente l’imposta patrimoniale. Un tabù inviolabile per i moderati, ma un cavallo di battaglia della sinistra tanto più prima delle elezioni.
L’altra operazione straordinaria potrebbe essere una vendita dei gioielli di famiglia, non solo le partecipazioni statali perché da vendere non c’è più granché, o le municipalizzate che, a parte due o tre tutte al nord, nessuno vorrebbe, ma le vaste proprietà immobiliari dello Stato. Da anni si discute di creare una sorta di fondo presso la Cassa depositi e prestiti al quale affidare un gran pezzo del patrimonio pubblico, riducendo così lo stock del debito. Finora proposte e progetti non hanno mai trovato consistenza. Non convincono la Banca d’Italia e non hanno convinto nessun governo, da Berlusconi a Renzi passando per Monti e Letta.
Che cosa ha in mente Renzi? Si chiedono Gentiloni e Padoan. Nessuno conosce la risposta. Ma se il capo del governo e il ministro dell’Economia si fanno bloccare da questo dubbio amletico commettono un grave errore. Non c’è da farsi illusioni: nonostante lo scenario roseo, nonostante l’inusuale atteggiamento benevolo delle società di rating, nonostante gli aggiustamenti al rialzo dell’Ocse, chi manovra i miliardi delle vedove scozzesi sta all’erta. Nei rapporti delle banche d’affari e di tutti gli osservatòri internazionali, c’è una frase ricorrente: dice che il rischio Italia oggi non è tanto economico, quanto politico. E un test chiave sarà proprio la prossima Legge di bilancio.