Comunque vada, non sarà un successo. Matteo Renzi ha scommesso sulla vittoria del sì al referendum greco sul rigore europeo, ma è finito in una posizione difficile. E ne uscirà ammaccato, qualunque sia la scelta degli elettori ellenici. Quasi a esorcizzare i suoi stessi timori è sceso in campo per rassicurare gli italiani che non devono aver paura della consultazione indetta da Tsipras e Varoufakis.
Quello descritto dal premier è un paese, il nostro, che non è più parte del problema, bensì della soluzione. Quattro anni fa era malato grave, compagno di sventura della Grecia, oggi è incamminato con decisione sulla via della ripresa e delle riforme. L’offensiva mediatica di Renzi serve a levarsi dalla graticola su cui era andato a cacciarsi, tanto sul piano interno, quanto su quello internazionale.
In casa sua Renzi deve fare i conti con una sinistra ancora una volta profondamente spaccata. Con un pezzo di Pd che si è precipitato sull’Acropoli a sostenere le ragioni del no greco a Bruxelles. Non solo Fassina, che ha già fatto le valigie e ragiona di un nuovo partito, non solo Civati, Vendola e Ferrero, ma anche D’Attore e altri esponenti della sinistra interna, decisi a continuare a fare resistenza dal di dentro, sino a quando sarà possibile. Se dovesse prevalere la rabbia contro le pretese europee, questa sinistra farebbe pesare dentro il corpaccione democratico la scelta di campo di Renzi a favore del sì, considerata un grave errore politico.
Non solo, alzerebbero la testa anche le opposizioni, da Grillo che vede nel referendum un esempio di democrazia da importare qualunque ne sia il risultato, sino a Salvini e Meloni, che voterebbero no senza alcuna stima per Tsipras, ma solo in sfregio allo strapotere della burocrazia comunitaria.
Ovviamente la vittoria della fazione filoeuropea nelle urne elleniche avrebbe l’effetto di rafforzare la posizione di Renzi sul piano interno, sia dentro il suo partito, sia nei confronti della polemica antieuropea di una consistente fetta delle opposizioni. Non così sul piano internazionale, dove le mosse del premier italiano sono parse alquanto spericolate e hanno sollevato più di una perplessità.
All’ultimo vertice europeo Renzi era stato lucido nel denunciare per primo che c’erano forze al lavoro per fare fallire i negoziati con Atene. Nel giro di un amen, però, da sponda di Tsipras in nome delle ragioni dell’allentamento delle politiche rigoriste, il presidente del Consiglio italiano si è ritrovato sulla stessa barricata di Angela Merkel, considerata da tutti gli osservatori il vero alfiere del partito del sì al referendum greco. E questo proprio mentre si metteva in moto persino la diplomazia statunitense, preoccupata che una Grecia fuori dall’euro e dall’Europa finisca per cadere nella sfera d’influenza russa, mutando profondamente la geopolitica dell’intero bacino del Mediterraneo.
Il pressing di Obama sulle cancellerie europee ha trovato inaspettatamente orecchie più attente all’Eliseo che non a Palazzo Chigi. E questa è stata una sorpresa per gli stessi americani. Mentre Hollande cercava di ammorbidire le posizioni tedesche, a Roma si rispondeva che Tsipras in fondo se l’era cercata e che le trattative erano state interrotte da Varoufakis e non dalle istituzioni europee.
Dall’accusa di aver scelto di stare all’ombra dei più forti Renzi è stato costretto a smarcarsi spiegando in tv di non essere interessato ai complimenti venuti da Berlino alle nostre riforme, e spiegando che le vere buon notizie sono altre, quelle riguardanti le crisi aziendali risolte come Indesit e Whirlpool.
Di sicuro domani ogni mossa del governo italiano verrà guardata con sospetto e ogni temporeggiamento non potrà che aggravare la situazione. Per uscire da questo angolo non c’è che una strada, quella di essere fra i primissimi a promuovere un ritorno al tavolo delle trattative.
Del resto, è la strada che indica anche il presidente della Repubblica Mattarella: da europeista convinto spinge per la ricerca ostinata di un’intesa che salvi la costruzione comunitaria, che non ha mai vacillato tanto. Dal Quirinale l’ultima settimana della vicenda greca è stata seguita con una preoccupazione crescente, che non è estranea all’annullamento della prevista visita di stato a Vienna, ufficialmente cancellata per il lutto che ha colpito il Capo dello Stato.
Il presidente del basso profilo ne ha scelto in questa occasione uno ancora più basso, vista la delicatezza del momento, ed ha affidato a un semplice messaggio a un convegno la valutazione sulla necessità di ricominciare a negoziare, per il bene dell’Europa.
Resta però la sensazione dell’isolamento italiano sul piano delle istituzioni comunitarie. Senza partner consolidati (come sono ad esempio Francia e Germania), e in perenne ricerca di alleanze a geometria variabile, la posizione del nostro paese rimane di estrema debolezza. Il caso greco mette a nudo che, per pesare in Europa, l’Italia ha davanti a se ancora molta strada da fare.